La Vespa e quell’Italia affamata di libertà

Non si può comprendere lo straordinario successo della Vespa, che  compie settant’anni, se non ci si immerge nel contesto dell’Italia dell’immediato dopoguerra.

Quello scooter alla portata di quasi tutte le tasche nacque da un’intuizione di Enrico Piaggio, proprietario dell’omonima azienda, intenzionato ad uscire dalle secche economiche dell’epoca ma, soprattutto, abile nel comprendere la necessità degli italiani di ritrovare un minimo di serenità e di normalità dopo anni di barbarie. 

Non a caso, la Vespa è diventata un modello, un mito e un’icona non tanto per la sua semplicità aerodinamica, per il fatto di essere stata progettata da un ingegnere, Corradino D’Ascanio, specializzato in elicotteri e per nulla appassionato di motociclette quanto, più che mai, per il fatto di essere stata l’emblema di una rinascita, di un riscatto collettivo, del dilagare della voglia di vivere dopo aver perso tutto. 

Con undici anni d’anticipo rispetto alla Cinquecento, la Vespa fu il motore di un’Italia che tornava a correre, di una nazione che guardava al futuro, di una generazione con i capelli al vento, affamata di libertà, di gioia, di bellezza. Fu un esempio di ciò che saremmo potuti diventare, uno sguardo al domani, un volo oltre l’orizzonte, un’emozione mai provata prima, una speranza di potercela fare benché il paesaggio fosse ancora disseminato di macerie.

Fu, in poche parole, un’iniezione di positività e di ottimismo dopo tanto orrore; fu un messaggio di pace; fu la riscoperta dello stare insieme, del viaggiare senza frontiere, di un vorticoso avanzare verso l’avvenire; fu la sconfitta di ogni barriera, di ogni confine, di ogni posto di blocco, di ogni filo spinato, di ogni pesantezza retorica e di ogni forma di eccesso.

La Vespa come esempio di leggerezza calviniana, come genio inventivo applicato alla produzione industriale, come rivoluzione sorridente e capace di durare nel tempo, di far innamorare di sé intere generazioni, di tramandarsi dai nonni ai nipoti senza smarrire la sua moderna unicità. 

C’era ieri, c’è oggi, ci sarà sempre, almeno fino a quando esisterà anche un solo uomo desideroso di andare oltre gli schemi e di contrastare con coraggio i dogmi imposti dall’ordine costituito.

E in quest’Europa segnata dalla ricomparsa dei muri, dalle chiusure e degli insulti alla libertà, Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di questo scherzoso guizzo di irriverenza.

Buon compleanno, piccolo, grande mito!

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