Allegri, Ranieri, l’Atletico, il Crotone: quando il calcio è un messaggio di speranza

ROMA – Fra una ventina d’anni, probabilmente, qualche cronista scrupoloso si recherà a Leicester, a Madrid e a Crotone per vedere cosa è rimasto di quelle squadre che nel lontano 2016 compirono imprese degne di essere tramandate ai posteri.

Entrerà nei pub, nei bar, nelle trattorie e nelle tavole calde, andrà a cercare i bambini di allora ormai trentenni e rintraccerà i calciatori che realizzarono l’impossibile per vedere che fine abbiano fatto, di cosa si occupino e, come spesso avviene in questi casi, cosa ne pensino del calcio contemporaneo. 

Solo quel giorno, probabilmente, quel cronista e tutti noi ci renderemo davvero conto di cosa abbiano rappresentato i capolavori del Leicester di Ranieri, dell’Atletico Madrid di Simeone e del Crotone di Jurić e di cosa abbia significato quella rivincita di Davide contro Golia per sponde calcistiche abituate all’emarginazione e alla sofferenza.

Solo quel giorno, quando nessuna copertina sarà più dedicata a questi trionfi ai limiti dell’epica, quando i volti dei suoi artefici saranno ormai lontani dai riflettori e magari segnati dalle rughe, solo allora ci accorgeremo che i loro nomi sono rimasti nell’immaginario collettivo, che i bambini li conoscono perché gliene hanno parlato i genitori o i nonni, che i bambini dell’epoca li hanno presentati ai propri figli come esempi di dedizione, passione e coraggio, che quella stagione è stata molto più lunga dei dieci mesi che è durata effettivamente e che è destinata a durare per sempre. Solo allora, proprio perché quella rivincita degli ultimi sarà stata, con ogni probabilità, unica nel suo genere, proprio perché nei due decenni successivi avranno vinto sempre gli squadroni imbottiti di primedonne e di miliardi, proprio perché non sta bene che i poveri prevalgano sui ricchi e che una classe operaia che ha vissuto sulla sua pelle patimenti indicibili e affrontato lavori umili e tutte le difficoltà della vita superi corazzate di straviziati che guadagnano in tre ciò che quella squadra guadagna in totale, solo allora e proprio per queste ragioni ci renderemo conto che i successi del Leicester e del Crotone e la magnifica stagione dell’Atletico Madrid di Simeone vanno al di là del calcio e dello sport.
Si tratta, infatti, dell’affermazione di una filosofia diversa e umana, della rivincita della semplicità e dell’umiltà sulla prepotenza del denaro, si tratta di quella molla che cambia il mondo, non solo nel calcio, e spinge anche chi non ha mezzi, chi ha tutti contro, chi vede il baratro davanti a sé e sa di avere una possibilità su cinquemila di farcela a impegnarsi lo stesso, a gettare il cuore oltre l’ostacolo e a credere nell’impossibile. È la molla che ha spinto i popoli a ribellarsi alle tirannie, gli inventori ad osare, Fosbury a inventarsi un salto divenuto leggenda, fino a soppiantare lo stile precedente, Bikila a vincere nel tramonto di Roma, il Cagliari di Riva a imporsi sulle corazzate del nord, anche all’epoca grondanti di fuoriclasse strapagati, il Verona di Bagnoli a replicare l’impresa quindici anni dopo e Ranieri a sbancare l’universo pallonaro più ricco al mondo con una compagine che molti consideravano destinata alla retrocessione.

Ed è anche il motivo per cui di quel Cagliari o di quel Verona, a distanza di tanto tempo, ricordiamo tutto: la formazione, il coraggio, la bellezza ma, soprattutto, quel clima da scolaresca, quel profumo di antico, di oratorio, di strada, di quartiere, di fatica, di sudore e di conquista che trasmette a ciascuno di noi il desiderio di provarci comunque. E pazienza se certi miracoli sono tali proprio perché accadono una volta ogni tanto, pazienza se non toccheranno a noi, pazienza se a gioire sarà qualcun altro, pazienza: ne sarà valsa comunque la pena. Ne vale la pena perché ogni generazione ha, statisticamente, la sua notte dell’Azteca, il suo Brasile invincibile che invece viene domato dalla tripletta di un giocatore dato per finito, la sua notte di Berlino nata nel fango e nell’orrore di Calciopoli, il suo Leicester, il suo Crotone, il suo Atletico e la sua attesa che quando culmina nel tripudio mette quasi tristezza, in quanto il bello di certe imprese non è tanto il raggiungimento del traguardo quanto le sensazioni provate durante la corsa.

E poi c’è Allegri, che non è paragonabile agli altri esempi citati, avendo la fortuna di guidare uno squadrone da sempre ai vertici del calcio internazionale; fatto sta che anche l’impresa del tecnico livornese, partito malissimo, accostato da alcuni osservatori maligni ad un possibile esonero e capace invece di portare a termine una rimonta ai limiti dell’incredibile, merita di essere ricordata come una delle pagine più belle della storia dello sport.
A dimostrazione che, per fortuna, come auspicava Nereo Rocco, non sempre vincono i migliori, non sempre contano solo i valori tecnici, non sempre bastano le star per imporsi e che anche gli umili, i deboli e coloro sui quali nessuno avrebbe puntato un centesimo, con passione e impegno, possono andare lontano.
E a me torna in mente una bellissima frase, tratta da un libro di Osvaldo Soriano: “Ci sono tre generi di calciatori. Quelli che vedono gli spazi liberi, gli stessi spazi che qualunque fesso può vedere dalla tribuna e li vedi e sei contento e ti senti soddisfatto quando la palla cade dove deve cadere. Poi ci sono quelli che all’improvviso ti fanno vedere uno spazio libero, uno spazio che tu stesso e forse gli altri avreste potuto vedere se avreste osservato attentamente. Quelli ti prendono di sorpresa. E poi ci sono quelli che creano un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio.
Questi sono i profeti. I profeti del gioco”. Teniamoceli stretti!

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