Cyberbullismo, quando la cultura è malata

Carolina 14enne, subisce violenza di gruppo a una festa, viene filmata e muore suicida, vittima di cyberbullismo dopo che tutto viene messo in rete; Tiziana 31enne si suicida dopo la campagna denigratoria successiva all’invio spontaneo a 5 amici telematici di suoi video hard; una minorenne a Rimini viene violentata in bagno e le amiche filmano, ridono e mettono tutto su whatsapp

Il problema non è LA RETE, ma l’assoluta ignoranza degli effetti mediatici della rete unita all’incapacità di comprendere la gravità delle azioni commesse.

“Esisto solo se diffondo in rete” è un pensiero distorto e malato, che porta ad azioni fatte con leggerezza e per divertimento ed è reso ancor più grave nel caso di atti illeciti che spesso vengono e vissuti e gestiti in maniera superficiale.

I dati di un’indagine condotta da Skuola.net e dall’Università di Firenze in occasione dell’ultimo Safer Internet Day su un campione di circa 5mila ragazzi dicono che un adolescente su cinque ha inviato foto intime per fare colpo, altrettanti per uno scherzo. E l’8 per cento ammette di mandare le stesse immagini in cambio di piccoli regali, come ricariche telefoniche.

La facilità con cui si sente dire – dopo – “non sapevo, non immaginavo” non cancella le responsabilità. Un tempo si scriveva sui muri e le conseguenze di una calunnia potevano essere ugualmente gravi: oggi che ogni messaggio si muove in rete in maniera esponenziale scontiamo l’assenza di qualsiasi educazione alla comunicazione, la conoscenza dei mezzi e delle loro potenzialità. Tanto dovrebbe essere fatto invece: il cyberbullismo viene dopo e deve essere combattuto, ma prima ci devono essere l’educazione e la conoscenza di questi nuovi, rapidissimi percorsi mediatici nella consapevolezza che la diffusione di qualsiasi materiale (foto, video, testo) e’ immediata, esponenziale, sfugge al nostro controllo ed è quasi sempre irreversibile. Parlando dei minorenni personalmente ritengo che molto potrebbero fare anche i genitori che, sino alla maggiore età dei figli, sono responsabili quantomeno delle SIM. Anche Whatsapp è vietato a chi ha meno di 16 anni, ma nessuno se ne cura. Esercitare il controllo è un dovere, faticoso e impegnativo: vedere che siti frequenta un figlio, che cosa scrive, come si comporta in rete non è una violazione della privacy ma un adeguamento ai nuovi tempi dell’educazione dei figli.

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