Azerbaijan. Con la concertazione aumentano salari minimi e pensioni

A Baku il 4° congresso della Confederazione dei Sindacati

ROMA – Si è svolto nei giorni scorsi a Baku il 4° congresso della Confederazione dei Sindacati dell’Azerbaijan (Azerbaijan Hemkarlar Ittifaqlari Konfederasiyasinin – AHIK, sigla inglese ATUC), che ha anche celebrato il ventesimo anniversario della sua fondazione.

L’Azerbaijan, poco più di 9 milioni e mezzo di abitanti, galleggia letteralmente sul petrolio del Caspio, che costituisce il 70% di un PIL di oltre 64 miliardi di $ (2011), in crescita a tassi medi annui del 14% nel periodo 2000-2010.

Un paese a prevalenza islamica sciita, dove la tolleranza religiosa è stata indicata a modello persino dal Vaticano. Non sembrano essere i problemi dell’economia le principali preoccupazioni dell’AHIK – ATUC, forte di oltre 1,6 milioni di iscritti nelle sue 25 federazioni nazionali di categoria. AHIK sembra condividere l’ottimismo, se non l’euforia, per il boom economico, anche se la monocultura petrolifera non ha diffuso il benessere in tutto il paese e se nella capitale (dove vivono oltre 2 milioni e mezzo di persone) sono visibili i segni della speculazione edilizia, della corruzione di stato, di un’occupazione precaria alimentata da migrazioni irregolari interne ed esterne.

Nel suo rapporto al congresso, il presidente e fondatore della confederazione, Sattar Mehbaliyev – acclamato con unanime voto palese a leader anche per il prossimo quinquennio – ha puntigliosamente sottolineato le positive conquiste del sindacato, nel quadro di quello che potremmo definire un sistema concertativo tripartito istituzionalizzato.

La crescita del reddito pro-capite da 5.000 a 7.500 $ tra il 2008 e il 2012 è riflessa dallo stesso aumento dei salari minimi (definiti dalla concertazione settoriale) e dall’aumento che hanno avuto i trattamenti e le pensioni sociali, anche se AHIK chiede di migliorare quest’ultimi, innalzandoli rispetto alla soglia di povertà.

Il sindacato, come il paese, sembra sospeso tra l’ansia di una reale democrazia e di una nuova partecipazione e la riproposizione, in chiave nazionalistica, di sistemi istituzionali che sembravano scomparsi con il crollo dell’URSS e la creazione, nel 1991, della Repubblica dell’Azerbaijan.

Su tutto incombe l’irrisolta questione dell’autoproclamata indipendenza del Nagorno-Karabach e della guerra con l’Armenia, che ha causato almeno 30 mila morti e quasi un milione di profughi.

Il cessate il fuoco regge, più o meno, dal 1994, ma la soluzione politica del conflitto tra Azerbaijan e Armenia è di là da venire, e proprio nei giorni del congresso, in un “incidente”, di cui si rimpallano le responsabilità il governo azero e quello autonomo del Nagorno-Karabach, sono rimasti uccisi due soldati azeri.

Non può stupire, quindi, se le numerose delegazioni straniere presenti al congresso (dalla Russia, dai paesi della ex federazione di stati indipendenti e dall’Europa dell’est, soprattutto, ma anche dalla “sorella” Turchia, con qualche “incursione” occidentale, come la CGIL e la CGT francese, e africana, come da Congo e Uganda) cominciano la giornata inaugurale con la deposizione di fiori al mausoleo delle vittime della guerra e della sanguinosa repressione sovietica degli scontri interetnici – circa 150 morti il 20 gennaio del 1990 – mentre Sattar Mehbaliyev, presidente di AHIK, e i delegati al congresso portano il loro omaggio alla tomba del fondatore della repubblica, Heydar Aliyev.

Nel suo discorso di “reinvestitura” il presidente di AHIK – che ha perso un fratello nella guerra – avanza un’unica richiesta al presidente della repubblica Aliyev: quella di trovare finalmente una soluzione pacifica – “non vogliamo un’altra guerra” – al conflitto con l’Armenia per la restituzione del territorio del Nagorno-Karabach.

Come accaduto in molte delle ex repubbliche dell’URSS, anche in Azerbaijan, dopo una lunga fase di instabilità politica, la repubblica presidenziale si è affermata intorno al partito creato dall’ex capo del partito comunista sovietico, anche grazie al controllo sull’industria petrolifera di stato.

Alla morte di Aliyev, nel 2003, le elezioni presidenziali non hanno potuto che confermare il successore designato, il figlio Ilham, classe 1961, laurea in storia, già primo ministro e vicepresidente del partito di famiglia NAP, riconfermato con ampio margine anche nelle ultime elezioni del 2010.

In questo contesto, anche AHIK si rigenera dal vecchio sindacato dell’era sovietica, cambia leadership, mantiene un rapporto col potere politico, partecipa con propri candidati alle elezioni parlamentari (il presidente Mehbaliyev è anche deputato al Parlamento) e contribuisce a costruire un solido sistema tripartito, in cui governo, sindacato e imprenditori definiscono in conferenze periodiche le principali norme del lavoro, i livelli di protezione sociale, i salari.

A dimostrazione del suo ruolo istituzionale, Mehbaliyev guida una delegazione degli ospiti stranieri (quelli dei paesi vicini e “fratelli”, prima di tutto della Turchia, secondo la comune definizione: “siamo due paesi e una sola nazione”) al palazzo presidenziale per un cordiale incontro con Aliyev.

Tutta l’impostazione del congresso, del resto, sembra più centrata sulla riconferma del gruppo dirigente e la “celebrazione” dei successi ottenuti, che su una approfondita discussione programmatica. Così come viene unanimemente riconfermato il sostegno della confederazione alla rielezione di Ilham Aliyev nelle elezioni presidenziali del 15 ottobre prossimo.

Tra i 1250 delegati, balza agli occhi la scarsa presenza di giovani (in un paese dove il 70% della popolazione ha meno di 35 anni) e una composizione tutta maschile del gruppo dirigente: solo una donna è presidente di una Federazione nazionale e, nonostante Mehbaliyev dichiari con orgoglio che il 51% degli iscritti è costituito da donne, allo stesso tempo le donne sarebbero presidenti di sindacati locali e aziendali nel 31% dei casi.

La crescita dell’occupazione giovanile è uno degli obiettivi principali del programma nazionale per il lavoro dignitoso che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) sta concludendo in Azerbaijan, in stretta cooperazione col governo e le parti sociali.

La priorità è stata individuata nella necessità di sviluppare un settore non petrolifero dell’economia, affrontando gli ancora gravi problemi della povertà, del deterioramento dei servizi sociali e della inadeguatezza delle infrastrutture, che pure hanno visto ingenti investimenti grazie agli introiti petroliferi.

Avvio di forme di diversificazione dell’economia (ad esempio verso il settore turistico) e volontà di attrarre l’attenzione internazionale sulla annosa questione del conflitto sul Nagorno-Karabach sono anche tra le ragioni della decisione di ospitare, nel 2015, le prime olimpiadi paneuropee.

Non basta, infatti, la ricchezza creata dall’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyan, la pipeline per il trasporto del greggio all’importante porto petrolifero turco, frutto di un consorzio internazionale al quale partecipa anche ENI.

E’ l’Italia, infatti, il primo mercato di destinazione per le esportazioni di idrocarburi dell’Azerbaijan. Anche grazie all’effetto della sostituzione dell’import dalla Libia, nel 2011 il nostro paese ha importato beni energetici dall’Azerbaijan per oltre 8 miliardi di euro. Le esportazioni, al contrario, pur aumentando del 60% sull’anno precedente, si sono fermate a 348 milioni di euro, di cui il 28% nella meccanica strumentale.

Un motivo in più per stringere rapporti, all’interno del Consiglio paneuropeo (PERC) della Confederazione Internazionale dei Sindacati (CSI-ITUC), con la confederazione azera, che, pur in bilico tra continuità col passato e nuove sfide, è certamente desiderosa di confrontarsi con altre storie sindacali.

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