Il Perù espande il piano per l’estrazione di gas ignorando le disposizioni dell’Onu

LIMA – Torna alla ribalta, dopo quasi un anno, la questione peruviana riguardante lo sfruttamento del territorio interno alla foresta amazonica. Il governo peruviano sta avviando un programma per espandere ulteriormente il progetto Camisea, progetto operativo dal 2004 con il compito di estrarre e trasportare gas naturale dalla regione centrale del Perù nei pressi del fiume Urubamba, fiume sacro per le popolazioni che abitano questi luoghi. Proprio gli indigeni sarebbero quelli più danneggiati nel caso in cui il governo attuasse l’espansione.

La compagnia a capo del progetto, la Pluspetrol, che ha tutto l’interesse affinché il piano si realizzi, avrebbe in cantiere l’idea di scavare 18 nuovi pozzi e portare avanti una serie di test sismici, in una zona che, secondo il loro rapporto, non porterà alcun disturbo “ad una popolazione che ha deciso di vivere in completo isolamento”. Inoltre, l’area prescelta funzionerebbe come zona cuscinetto tra i lavori già in corso e il parco nazionale di Manu, sotto tutela dell’Unesco, ma dove, ci tiene a sottolineare sempre lo stesso rapporto, “la varietà biologica in questi luoghi supera ampiamente quella di qualsiasi altra zona sulla terra.” Quasi fosse un motivo in più per iniziare a scavare e a danneggiare l’ecosistema.

La Pluspetrol e il governo peruviano continuano così imperterriti per la loro strada, come se non fosse mai intervenuta direttamente l’Onu, nel caso di fattispecie, nella persona del Relatore Speciale per i Diritti delle Popolazioni Indigene, James Anaya, nel mese di dicembre.

Nell’ultima conferenza a cui ha preso parte, sempre il mese scorso, a Lima, il relatore dell’Onu ha letto un documento in cui raccomandava vivamente al governo di attuare uno studio accurato sulle popolazioni abitanti le zone limitrofe a quelle dove si svolgono i lavori per il progetto Camisea. In seconda battuta, ha affermato categoricamente che “non verrà attivato alcun piano di espansione a meno che non sia prima possibile dimostrare che i diritti degli indigeni non vengano violati.”

Più concrete risultano essere le previsioni del dott. Cameno, della Ong DAR (Derecho Ambiente y Recursos Naturales), il quale afferma chiaramente che un’espansione dei lavori porterebbe inevitabilmente ad una serie di scontri violenti tra gli operai e gli indigeni, incrementando così il numero dei morti, dovuti non più solo ad incidenti sul lavoro e all’aumento dell’inquinamento ambientale, ma a vere e proprie guerriglie. Il progetto significherebbe per le varie tribù anche la perdita di terreno lavorabile e l’impossibilità di accedere alle risorse primarie della zona. “Il governo peruviano deve necessariamente dare retta a quanto affermato da Anaya e applicare le sue direttive”, continua Cameno, “la posta in gioco è la sopravvivenza di numerose persone che vivono isolate nella regione”.

Al momento la concessione condotta dalla Pluspetrol, che è alla guida di un consorzio di compagnie tra le quali spiccano la Hunt Oil, la Repsol e la SK Corporation, è chiamata Lot 88 ed opera nella regione di Cuzco, nel sud est del Perù, nei pressi del famigerato sito archeologico di Macchu Picchu. La maggior parte delle operazioni del Lot 88, circa il 74 %, si estende, o meglio, si sovrappone, direttamente sulla riserva del Kugapakori-Nahua-Nanti, creata nel 1990 proprio per ospitare al suo interno le tribù locali e per impedire alle compagnie di operarvi.

Disposizioni e normative che nel corso degli anni sono state ampiamente violate e questo perché, probabilmente, stando a quanto riportato dalla Perupetro, agenzia di stato che si occupa della promozione delle attività riguardanti gas e petrolio, il Lot 88 da solo produce il 30%  dell’intera produzione peruviana di gas e petrolio.

Come tutelare i diritti di poche migliaia di indios contro l’ immenso potere politico economico del Lot 88?

 

 

 

 

 

 

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