Mauritania: il fallimento di un sogno africano

NOUACHOTT – Ieri la Mauritania ha festeggiato il suo cinquantenario dell’indipendenza. La cosa migliore del cinquatenario forse è stato lo spettacolo pirotecnico allo stadio, perché si è trattato di un anniversario sottotono. Il presidente Mohamed ould Abdel Aziz ha imposto un austerity rigorosa.

Ed è stata una decisione saggia perché in effetti c’è poco da festeggiare. Lo ammette lo stesso Abdel Aziz nel suo messaggio alla nazione trasmesso la sera del 27 sul canale unico televisivo mauritano. La Mauritania alla sua nascita nel 1960 aveva tutti i presupposti per divenire un isola felice nel continente africano: una popolazione di poco più di un milione d’abitanti (ora sono circa tre milioni), una risorsa mineraria fondamentale per lo sviluppo industriale quale il ferro, un agricoltura in grado di sfamare la popolazione e realizzare un importante surplus per l’export, un potenziale ittico straordinario per l’incontro delle correnti oceaniche e l’assenza di fattori d’inquinamento. “Ma le speranze suscitate sono rapidamente sfumate per numerosi fattori interni ed esterni, di cui principalmente l’assenza di una visione politica ed economica chiara, la mancanza dell’ancoraggio alla nozione d’interesse generale, il fenomeno della frode e della cattiva gestione che è generalizzato in certe sfere della nostra società” cosi ha spiegato Abdel Aziz le ragioni del fallimento della Mauritania. Centrale è il riferimento al meccanismo di psicologia cognitiva dell’ancoraggio. Ad esempio si verifica un ancoraggio quando, a seguito di un incidente aereo, la  percezione di pericolo aumenta sensibilmente nei viaggiatori, fenomeno che non avviene mai di fronte al quotidiano stilliccidio di morti sulle strade a causa d’incidente d’auto private, evidenza empirica invece dovrebbe razionalmente scoraggiare l’uso eccessivo di tale mezzo di trasporto. Il concetto è utilizzato normalmente nei mercati finanziari per spiegare le valutazioni probabilistiche eccessivamente positive o negative: Daniel Kahneman e Amos Tversky hanno vinto il Nobel in economia nel 2002 proprio studiando le ragioni e le dinamiche di tale fenomeno psicologico su i suddetti mercati. Tornando al discorso Abdel Aziz ha invocato questa comune débacle della razionalità come un fattore che ha negato alla società mauritana una collettiva fiducia emozionale verso l’interesse generale. In pratica il popolo mauritano si è rivelato troppo razionale per accettare le promesse di un futuro roseo. E’ un ragionamento di vago sapore berlusconiano per chi conosce le vicende italiane, ma sicuramente efficace a livello di costruzione di una giustificazione per lo stato della nazione dato che non entra nel merito dei problemi. Analogamente viene fatto con il riferimento alla frode e cattiva gestione. Si edulcora la questione centrale della corruzione (che attanaglia tutta l’Africa), rispetto alla quale invece è fondamentale smascherare i meccanismi e i responsabili se si vuole veramente adottare un processo di riduzione del devastante fenomeno.

E’ preoccupante che il presidente della repubblica islamica non affronti i nodi centrali della società mauritana: la questione razziale, la giustizia sociale e la sovranità nazionale. Anche perché le condizioni attuali sono ancora più favorevoli del 1960: le ricerche geologiche hanno portato alla luce importanti giacimenti d’oro (forse i più ricchi dell’Africa), uranio, rame, fosfati oltre al petrolio e al gas naturale; le moderne tecnologie possono finalmente sfruttare il potenziale energetico solare ed eolico; la disponibilità d’acqua è aumentata grazie al completamento del progetto d’acquedotto dal fiume Senegal e al cambiamento climatico degli ultimi 10 anni con l’aumento delle pioggie; la rapida diffusione delle tecnologie mobili di comunicazione ha reso meno vincolate la dispersione della popolazione sul territorio e facilitato la sua rintracciabilità; l’impiego rigido del fermo biologico ha ripopolato i mari mauritani di pesce dopo le devastanti razzie degli anni 80 e 90; la capacità tecnologica di costruire una filiera completa della produzione di carne e latticini sfruttando i circa 10 milioni di capi di bestiame esistenti nel paese capace di esportare carne a tutta la regione del Sahel (in media ogni mauritano ha almeno 3 animali d’allevamento tra pecore, vacche, capre e cammelli); lo sfruttamento sostenibile dei 6 patrimoni artistici e naturali dell’umanità secondo l’Unesco presenti nel paese.

Sarebbe quindi veramente importante che ora la Mauritania si dotasse di un progetto di sviluppo del paese al fine di garantire nel medio periodo (5 anni)  il diritto all’accesso universale alle cure sanitarie ed alla istruzione di qualità. Basterebbe rinegoziare i contratti di sfruttamento delle risorse minerarie e avviare un sistema di raccolta delle imposte presso le 5 famiglie che gestiscono il commercio (l’unico settore sviluppato a livello nazionale) per aumentare la disponibilità di risorse finanziarie.

Il discorso di Abdel Aziz dimostra che il progetto attuale è diverso: le licenze minerarie sono date in concessione a percentuali irrisorie (mai superiori al 6% del valore del prodotto estratto) e i progetti di opere pubbliche sono funzionali alla logica del FMI: prioritarie sono le infrastrutture utili agli investitori internazionali (servizi energetici, finanziari e di trasporto) nei territori di loro interesse. Il sud del paese è residuale affidandolo al mercato dell’aiuto umanitario perché privo di risorse minerarie e basata sull’economia agricola e d’allevamento. Perché creare un mercato nazionale che deprimerebbe l’import di prodotti alimentari pari al 70% del totale?

Ma la vera novita è il nuovo affare economico: la vendita di terreno mauritano a nazioni straniere. E la Cina è tra i primi compratori. Si acquista terreno fertile o edificabile allo scopo di avere in futuro riserve all’estero per le proprie colture agricole e produzioni ad alto impatto ambientale. E’ un fenomeno che interessa tutta l’Africa subsahariana, ma che in Mauritania è particolarmente diffuso per la bassa densità demografica. E Abdel Aziz sa bene che non potrà a lungo nascondere la verità, quindi riconosce esplicitamente il ruolo di primo attore alla Cina per la prossima inaugurazione d’industria di trasformazione del pesce. Un industria in campo di terra: è la politica di cooperazione cinese. Al contrario dell’Unione Europea, FMI, Banca Mondiale che perseverano in accordi e tavoli di concertazione, utili solo per la pletora di consulenti e società di servizi, la Cina si concetra su progetti specifici e li realizza mettendo nero su bianco la contropartita, senza preoccuparsi se ci siano accordi quadro o strategie nazionali per lo sviluppo. In un ottica non dissimile si sta muovendo il Brasile.

All’Europa ed agli USA viene offerto il mercato della sicurezza e del terrorismo, il solo che sembra essere d’interesse. Anche in questo caso Abdel Aziz dimosta l’ambiguità del commerciante del suk.
Da un lato egli non fa mai nel discorso fa uso della parola terrorismo ed una sola volta cita i terroristi associandoli alla criminalità di contrabbando. Infatti, dopo aver utilizzato il terrorismo quale arma finale per deporre il precedente presidente (con il placet di Parigi) ed aver utilizzato il terrorismo quale ragion di stato per un intero anno di mandato, alla vigilia del cinquatenario ha graziato più di settanta detenuti per reati di terrorismo con la motivazione del loro pentimento ridimensionando il pericolo terrorista, sopratutto dopo la morte di almeno 10 soldati in un operazione antiterrorismo nel territorio maliano a settembre. Abdel Aziz ha percepito che la gente si cominciava a lamentare di un presidente che aveva promesso d’occuparsi di sanità ed educazione ed invece si concentrava sulle operazioni antiterrorismo suggerite da Parigi. Per cui attraverso le massime autorità religiose del paese impegnate nel dialogo “teologico” coranico sul significato di Jihad, Abdel Aziz è riuscito finora con successo a convogliare quel malcontento sociale, che aveva trovato negli iman (coloro che gestiscono la vita della moschea) di periferia e dei villaggi rurali un importante interlocutore politico, all’interno dei canali istituzionalizzati dell’autorità religiosa (il consiglio degli ulema e degli iman) da sempre in Mauritania prossimi a chi è al potere.

Dall’altro Abdel Aziz spiega con dovizia di particolari la necessità di potenziare ed ammodernare le forze di sicurezza e renderle all’altezza della sfida criminale legata al commercio di droga e di merce di contrabbando, che sono ritenute contigue alle attività terroristiche. Un tema che è considerato prioritario da Parigi e Washington per continuare ad appoggiare l’ex capo della guardia presidenziale, incuranti del fatto che il suo ruolo di ex-militare lo rende sempre più un potenziale dittatore in abiti borghesi.
Il destino della Mauritania non è roseo ed oggigiorno l’ottimismo del FMI nel suo ultimo rapporto dedicato alla Mauritania sembra fuoriluogo. Ció non toglie che la demografia ancora lascia grandi margini di manovra. Si tratta di capire quanto il primitivismo post-moderno proprio della società urbana mauritana riesca a sfociare in una capacità di miglioramento generalizzato delle condizioni di vita. Una cosa è certa lo Stato per i mauritani è ancora un affare di “lor signori”. Ma questo non è un problema solo mauritano e le recenti elezioni in Costa d’Avorio e Guinea lo dimostrano per l’ennesima volta. Cinquanta anni sono troppo pochi per cancellare gli orrori del colonialismo e le catastrofi delle classi dirigenti nazionali.

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