Rapporto Istat. L’Italia delle ingiustizie cammina come il gambero

ROMA – I dati  sulla situazione economica e sociale che ogni giorno vengono resi noti da qualche ente, istituto, Fondazione, istituto bancario, organizzazioni internazionali,.non lasciano scampo. 

Un giorno è la disoccupazione, un altro l’inflazione, poi, i precari, i giovani, le tasse , le ingiustizie sociali, ci raccontano, un po’ alla volta quello che è sotto gli occhi di tutti, anche se qualcuno fa finta di non  vedere, non sentire.. Quando questi dati vengono messi in fila , l’uno dietro l’altro, ne viene fuori uno scenario impressionante,ci descrive una società che invece di crescere è andata indietro come il gambero. Ce solo da valutare di quanti anni va messo indietro l’orologio. Ecco,infatti, che arriva l’Istat a fornirci uno spaccato che grida vendetta., l’Italia delle ingiustizie.

Solo il 20,3% dei figli di operai arriva all’università

Nel rapporto annuale, ci dice che appena il 20,3% dei figli degli operai è arrivato all’università, contro il 61,9% dei figli delle classi agiate, della generazione nata negli anni ’80.  Il  30% dei figli degli operai abbandona le scuole superiori contro appena il 6,7% dei figli di dirigenti, imprenditori, liberi professionisti. La selezione comincia dai banchi di scuola, e non si tratta di una selezione naturale.: ll’ascensore sociale – rileva il rapporto-è bloccato da lungo tempo, dagli anni ’60,  La crisi aggrava la situazione.  Le disuguaglianze si sono ampliate a livelli insopportabili per un Paese civile. Rileva l’Istat che un Paese civile le colma attraverso la scuola e i servizi sociali. In Italia la scuola prende atto della disuguaglianza appena si conclude il ciclo obbligatorio, e i servizi sociali aumentano a dismisura le disparità tra Nord e Sud, uomini e donne, garantiti e atipici, giovani e anziani. Passiamo ai cambiamenti nella struttura dell’occupazione che, a partire dal dopoguerra, rsottolinea l’Istat, hanno interessato in misura massiccia il settore agricolo.”Si sono spostati 9 figli di operai agricoli e poco meno di nove figli dei coltivatori diretti e piccoli proprietari terrieri su 10, e “a quota degli operai agricoli sul totaledegli occupati si è ridotta considerevolmente, passando dal 7,7 per cento all’1,6 per cento”. Interessante il rilievo che fa l’Istituto:

Il  fisco  non redistribuisce  e  aggrava le differenze
“La classe sociale di origine influisce in misura rilevante sul risultato finale, determinando rilevanti disuguaglianze nelle opportunità offerte agli individui: al netto degli effetti strutturali, tutte le classi (in particolare quelle poste agli estremi della scala sociale) tendono a trattenere al loro interno buona parte dei propri figli e i cambiamenti di classe sono tanto meno frequenti quanto più grande è la distanza che le separa”  Ancora :il fisco- sottolinea l’Istat
 “dovrebbe avere un effetto redistributivo.  Ma gli abbattimenti e le deduzioni dell’imponibile,
, favoriscono particolarmente le famiglie ad alto reddito e riducono la progressitività”. Infatti sono massime (circa 5.700 euro) per i contribuenti che dichiarano più di 75.000 euro e minime (880 euro) per chi dichiara meno di 15.000 euro. Per  che non arriva al reddito minimo tassabile non è previsto alcun beneficio. Inoltre le detrazioni favoriscono le famiglie con due o più percettori di reddito, contro quelle in cui a lavorare è solo uno.


Il mondo degli esclusi: donne e precari

 Passiamo al mondo degli esclusi, le donne in primo luogo. Nei Paesi scandinavi le coppie in cui la donna non percepisce un reddito da lavoro sono meno del 4%, in Francia il 10,9%, in Spagna il 22,8%, nella Ue27 il 19,8%. In Italia il 33,7% delle donne tra i 25 e i 54 anni   Sempre l’Istat ci descrive la condizione della donna italiana che non produce reddito. Eccola. “Nelle coppie in cui la donna non lavora (30% del totale) è più alta la frequenza dei casi in cui lei non ha accesso al conto corrente (47,1% contro il 28,6% degli uomini); non è libera di spendere per sé stessa (28,3%), non condivide le decisioni importanti con il partner (circa il 20%); non è titolare dell’abitazione di proprietà”. Inoltre le mogli separate o divorziate sono più esposte al rischio di povertà a fronte dei mariti nella stessa situazione: 24% contro 15,3%. Passiamo agli atipici, una lettura utille per chi esalta i pregi della flessibilità. Sono entrati da atipici nel mondo del lavoro  il 31,1% dei nati negli anni ’70, ma il 44,6% dei nati dagli anni ’80 in poi. Quesgto ingresso spesso non è approdato ad una occupazione stabile a un’occupazione .  La classe sociale di provenienza conta molto.: “Il passaggio a lavori standard è più facile per gli appartenenti alla classe sociale più alta, mentre chi ha iniziato come operaio in un lavoro atipico, dopo dieci anni, nel 29,7% dei casi è ancora precario e nell’11,6% ha perso il lavoro”.

 

Mezzogiorno. Diminuisce la spesa sociale e mancano i servizi
Chiudiamo con il Mezzogiorno. L’Istat dice che va peggio per tutti i cittadini ma in particolare per glii operai,  i giovani,  le donne.  ll quadro che l’Istituto traccia dei servizi sociali sconcertante.

 Il Servizio sanitario nazionale ha speso 1833 euro pro capite, che vanno dai 2.191 della provincia di Bolzano ai 1.690 della Sicilia. Le strutture residenziali per anziani offrono in media 37 posti letto ogni 1000 anziani residenti nel Nord, e appena 10 al Sud.  

La spesa sociale nel 2009 in seguito alla crisi è diminuita dell’1,5% nel Mezzogiorno, ma è aumetnata del 6% nel Nord-Est, del 4,2% nel Nord-Ovest e del 5% al Centro. Per i servizi sociali i comuni calabresi spendono 26 euro a persona, quelli della Provincia Autonoma di Trento 295 euro. Per i disabili i comuni del Sud spendono otto volte meno di quelli del Nord. I nidi pubblici sono presenti nel 78% dei Comuni del Nord-Est ma nel 21% di quelli del Sud..  Questa è l’Italia. Da Cambiare

 

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