Crisi. Solo la cultura potrà salvare l’Italia

ROMA – In uno scenario di crisi sempre più avvilente per l’Italia almeno una mezza buona notizia.

Gli italiani, a dispetto delle tasche sempre più vuote e nonostante la crisi che morde inesorabilmente colpendo ogni settore, facendo diminuire vertiginosamente tutti i consumi, sono sempre più affascinati dagli intrattenimenti culturali. Questo è quanto si evince dai dati riportati oggi da Federculture al MAXXI di Roma, dove il ministro Ornaghi ha presentato il Rapporto annuale Federculture 2012  “Cultura e sviluppo. La scelta per salvare l’Italia”, sottolineando la necessità di una ‘politica pubblica’  ed efficace per la cultura. 

Il Rapporto dimostra infatti che, nonostante il grave momento di recessione, il settore culturale può offrire grandi potenzialità di sviluppo a dispetto dell’evidente disimpegno dello Stato. I dati  relativi al 2011 rivelano che la spesa delle famiglie nel settore cultura ha sfiorato i 71 miliardi di euro con un incremento del 2,6 % rispetto al 2010. Cosa significa questo? Che probabilmente musei e teatri vincono di gran lunga la sfida contro vestiario e altri beni voluttuari. Significa che gli italiani hanno più fame di cultura di quanto si pensi. Peccato che lo Stato abbia sottovalutato sempre questa necessità e questa urgenza e  non abbia ancora realizzato che forse l’uscita dalla crisi può passare anche attraverso una maggiore attenzione e un maggior investimento pubblico  nel settore culturale, verso il quale invece si è da sempre mostrato  di braccino troppo corto.  

Lo scenario di incertezza per il calo dell’intervento pubblico,  infatti,  ha scoraggiato anche l’intervento dei privati nel settore culturale. Sono calate  quindi,  drasticamente le entrate per le aziende culturali, che devono far fronte ai tagli del pubblico (-43%) e del privato (-40%). Basti pensare che negli ultimi dieci anni il bilancio del MIBAC (Ministero dei Beni ambientali e Culturali) è diminuito del 36,4%, arrivando nel 2011 a 1.425 milioni di euro contro i 2.120 del 2001. L’Italia ha una sola e per certi versi ‘immeritata’ ricchezza, ovvero la percentuale più alta dei capolavori planetari,  il maggior numero di siti Unesco ‘patrimonio dell’umanità’.  Eppure le spese e gli investimenti in cultura negli ultimi anni sono costantemente  e drasticamente diminuiti.

Qualcosa va cambiato, è evidente. La cultura può essere l’investimento sul quale puntare per ripartire. Roberto Grossi, Presidente di Federculture, fa notare che la domanda culturale “cresce anche e soprattuto in relazione allo sviluppo delle politiche culturali e a quello del sistema di produzione e di offerta, per questo motivo serve una politica pubblica”. Servono scelte ‘culturali’ da parte della politica.  ‘Politica’, in questo caso, tradotto in termini più chiari vuole dire  investimenti ovviamente,  ma anche educazione alla cultura. In Italia ci si trova  invece di fronte a una vera e propria emergenza educativa. Solo nell’ultimo anno sono crollate le immatricolazioni negli atenei  e  nessun Istituto rientra nella classifica internazionale delle migliori Università (Bologna è la prima in 183/a posizione). 

“Il settore delle industrie culturali e creative, oggi stimato valere il 4,5% del Pil europeo e il 3,8% degli occupati totali, sarà nei prossimi anni in grande espansione. Ma mentre gli altri Paesi, nostri concorrenti, hanno già fatto delle scelte, noi non abbiamo ancora cominciato a discutere” ha sottolineato sempre Grossi.

l’Italia di oggi dunque potrebbe essere  un paese migliore se la politica non fosse troppo occupata a conservare i propri privilegi piuttosto che preservare il ‘nostro’ patrimonio.

Insomma la domanda culturale  in Italia cresce …  è la risposta che è carente.

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