Siria: un vero intrigo internazionale con migliaia di morti

DAMASCO – La cronaca ci racconta di una Siria ormai in guerra feroce: le truppe fedeli al Presidente Assad hanno lanciato una tremenda controffensiva nel fine settimana, con bombardamenti aerei, artiglieria pesante e truppe corazzate, in un escalation degli scontri che avrebbero ormai portato il numero delle vittime a diverse decine di migliaia e che si sono estesi a tutto il Paese.

Ciò che invece l’informazione stenta, o omette, di raccontare sono le ragioni del conflitto e il perché la comunità internazionale stia sostanzialmente a guardare. Sembrano infatti dei pannicelli caldi per un malato grave le sanzioni economiche, la stretta sull’embargo e le risoluzioni annacquate che Unione Europea e ONU, ma anche Lega Araba, stanno adottando quasi su base quotidiana.

Così come non hanno alcun fondamento le notizie di una fuga o di una rotta di Bashar al Assad e dei suoi fedelissimi.

Non appare credibile nemmeno lo scontro interno tra alawiti e sunniti: se infatti gli alawiti occupano i vertici militari e i servizi segreti, il governo civile e l’economia nazionale sono ampiamente guidate dai sunniti. Il regime di Hafiz al Assad, e poi di suo figlio Bashar, entrambi di fede alawita, ha sempre cercato di coinvolgere tutte le diverse comunità religiose, cristiani inclusi, nella gestione del potere. Sebbene i Fratelli Musulmani, sostenuti dalla maggioranza sunnita del Paese, abbiano tentato di assassinare Hafiz nel 1980 e il dittatore abbia risposto con una repressione sanguinaria massacrando oltre 20.000 persone della roccaforte sunnita di Hama.

Lo scontro sembra essere invece di classe, trasversale alla società siriana e scatenato dalle condizioni di vita sempre più difficili delle fasce deboli e medie della società: per cui l’elite militare ed economica resta fedele al regime, mentre i quadri intermedi e il resto della popolazione tentano di rovesciarlo per inseguire un miglioramento sociale. Potremmo chiamarla a tutti gli effetti una rivoluzione.

Ciò che risulta davvero rilevante nella crisi attuale, aldilà della nota impotenza dell’UE a giocare un ruolo nello scacchiere mediorientale, è l’impasse in cui Russia e Cina stanno congelando il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Tra veti posti e minacciati, l’ONU non riesce a prendere una posizione netta nella crisi.

Nel frattempo, però, in Siria si respira aria da guerra fredda: i russi, che non possono perdere gli ultimi porti franchi per la loro flotta nel Mediterraneo, allungano i tempi di un possibile intervento internazionale e intanto continuano ad armare le truppe lealiste.

Turchia, Qatar e Arabia Saudita, per ragioni economiche, politiche e religiose, armano invece i ribelli, sostenuti dall’intelligence di vari Paesi occidentali.

Gli stessi Paesi occidentali che hanno da sempre considerato Assad un interlocutore credibile e affidabile, se nel 2008 Sarkozy l’ha invitato tra gli ospiti di onore della parata del 14 luglio agli Champs Elysées e il Segretario di Stato USA Hillary Clinton, fino a pochi mesi dall’inizio degli scontri in Siria lodava pubblicamente lo spirito riformista degli Assad. Un Bashar al Assad armato fino ai denti e deciso a respingere con tutte le forze l’offensiva interna, la rivoluzione che ne sta minacciando il potere assoluto. Giocando – perché no? – con tutte le pedine dell’intrigo internazionale.

La Siria, la sua longa manus sul Libano e su Hezbollah, la contiguità con Israele e con l’Irak, la prossimità con l’Iran, restano infatti di capitale importanza per molti, troppi interessi. 

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