Wikileaks. Assange lancia un appello, basta caccia alle streghe

LONDRA – Julian Assange oggi ha parlato ai suoi sostenitori, ma anche ai suoi acerrimi nemici. Lo ha dovuto fare da una finestra dell’ambasciata ecuadoregna,   per non rischiare di essere catturato dagli agenti di Scotland Yard. “Basta alla caccia alle streghe” ha invocato il fondatore di Wikileaks, rivolgendosi direttamente agli Stati Uniti che lo vorrebbero rinchiuso a vita in una cella, se non addirittura dentro una cassa da morto.

Dopo aver ringraziato l’Ecuador e il presidente  Rafael Correa per il coraggio mostrato nell’avergli concesso l’asilo e gli altri governi latinoamericani che si riuniranno per valutare il braccio di ferro tra Londra e Quito, il fondatore di Wikileaks ha ricordato le condizioni di detenzione in cui è costretto Bradley Manning, il soldato americano che avrebbe passato ad Assange i file segreti della diplomazia americana, e la sentenza condanna delle Pussy Riots emessa l’altro ieri a Mosca.
Julian Assange ha lanciato un accorato appello affinché il soldato americano Bradley Manning, accusato dagli Usa di aver trafugato e passato a Wikileaks informazioni militari segrete americane, venga liberato al più presto.

Oggi un portavoce di Wikileak aveva lasciato intendere che se la Svezia si fosse impegnata formalmente a non consegnare Assange agli Stati Uniti, questo impegno avrebbe costituito una buona base di negoziato per mettere la parola fine alla vicenda. Una direzione nella quale sembravano muoversi anche, fra le righe, le diplomazie centramericane. Ma dopo i discorsi di Assange e di Garzon, privi di alcun riferimento in questo senso, il rompicapo diplomatico torna al punto di partenza e la prospettiva paventata dal ministro degli Esteri britannico William Hague, di tempi «considerevolmente lunghi» per la soluzione del caso, assume
sempre maggiore consistenza.

Assange è ricercato dalla Svezia per rispondere delle accuse di stupro e abusi sessuali e una corte britannica ha stabilito che Assange, rifugiato dal 19 giugno nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, debba essere estradato. Il 41enne australiano teme di esser consegnato dalla Svezia agli Stati Uniti, dove rischia la pena di morte per aver diffuso materiale militare segreto.

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