Fiat. Tutti schiavi di Marchionne

TORINO – Da stanotte inizia la votazione dei dipendenti FIAT di Mirafiori, circa 5.500 persone, che si esprimeranno in merito alla nuova proposta di contratto sottoposta loro dall’Amministratore Delegato dell’azienda Sergio Marchionne, dirigente col vento in poppa soffiato dai recenti successi del piano Chrysler americano.

L’iniziativa storica, dell’altrettanto storica industria torinese, per bocca del manager più in voga del pianeta, getta un sasso nello stagno sociale italiano che crea cerchi concentrici talmente ampi da investire tutta una serie di implicazioni politiche così difficili da gestire, da creare le condizioni di possibilità per una speculazione strumentale a 360 gradi. E come insegna il nostro Belpaese tutti si stanno tuffando a bomba per cavalcare l’onda.

Ci sono pochissime certezze in ballo, di cui la prima è senz’altro l’assoluta estraneità ai fatti del 99% periodico di tutti coloro i quali giudicano, scrivono, urlano, interpretano, appoggiano, criticano, compreso il sottoscritto. Nessuno di noi sa cosa significa lavorare 8-10 ore al giorno alla catena di montaggio di una fabbrica per 1200 € netti al mese compiendo sostanzialmente un unico, ripetitivo, alienante gesto, fermandosi per tre ridicole pause di dieci minuti a turno. Un massacro.

L’altra certezza è l’asimmetria ricattatoria della proposta di Marchionne, giustificata a quanto pare dall’altrettanto ricattatoria globalizzazione, ovvero: visto che la competitività su scala mondiale è ormai incatenata allo sfruttamento della manodopera dei paesi del terzo mondo, e di conseguenza il costo del lavoro in paesi a crescita zero decennale come l’Italia non è più sostenibile, è chiaro che o gli operai accettano un taglio netto dei loro diritti oppure accettano la perdita del lavoro.

Quindi: se vince il sì, tutti al lavoro, anche gli scontenti. Se vince il no, tutti a casa, anche gli scontenti. Unico vincitore: il consiglio d’amministrazione FIAT, che se vince il sì, investe, produce, vende e guadagna. Se vince il no, sbaracca tutto, accolla la cassa integrazione di migliaia di lavoratori allo Stato, cioè a noi, si trasferisce in Serbia o in Canada o in Cina o in Angola o nelle Filippine, produce ad un decimo, vende e guadagna.

L’ultima certezza è lo spaventoso vuoto politico che accompagna tutta la questione: nessun esponente del governo è riuscito a fare uno straccio di dichiarazione che analizzasse minimamente la problematica in tutta la sua complessità, affrontando le ragioni del capitale –come si suol dire- e quelle della forza lavoro.

Le uniche sparate le abbiamo sentite dai ducetti del momento. Marchionne, appunto, che con un ghigno ignobile ha detto che se vince il no non ci sarà alcun investimento, e il solito Berlusconi, che ha ribadito la questione in modo altrettanto ignobile e superficiale: se vince il no, Marchionne fa bene ad andarsene.

Ma andarsene dove? Via? Ovvero: o votate sì oppure prendo tutti i soldi, me ne vado e vi licenzio? E la Costituzione, di cui il Presidente del Consiglio si fa beffa, non conta niente nemmeno per tutto il resto dei nostri dirigenti? La nazionalizzazione delle fabbriche sul territorio italiano è nozione da stracciare? E gli incentivi di cui la FIAT ha goduto per decenni ce li scordiamo così? E i beni immobili, della FIAT, dove li portano? E il capitale appena riquotato in borsa attraverso una mirabile speculazione finanziaria? Sicuri che non ci saranno ripercussioni economiche se vincesse il no? E il rischio di un incattivimento della questione, con la possibilità di un ritorno alla violenza terroristica in stile Brigate Rosse? Non conta?

A fronte delle pochissime certezze, tutto il marasma delle incertezze è sul groppone dei lavoratori, di quelli che si alzano la mattina alle quattro e mangiano un panino alle quattordici, che vanno al bagno col cronometro e tornano a casa con i giramenti di testa e le gambe tremolanti. Che hanno paura di perdere i diritti, la salute e il lavoro. Che sono abbandonati al loro sì. E allora che vinca questa vuota democrazia imperfetta: che i lavoratori votino sì, conservino il lavoro, perdano un po’ di diritti per favorire i privilegi dei soliti dirigenti milionari, che di lavoro non moriranno mai.

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