Delitto Via Poma. Sentenza che lascia molti dubbi

ROMA – Certamente si dovranno aspettare le motivazioni delle sentenza prima di fare analisi certe dei motivi che hanno spinto i giudici a condannare Raniero Busco, a 24 anni di reclusione, per l’omicidio Simonetta Cesaroni.

Certo è che, secondo il parere dei criminologi, i quali dovrebbero saperne più di noi, sia del processo sia delle dinamiche dell’omicidio, la sentenza lascia molti dubbi se non certezze di una cattiva gestione del caso giudiziario, adombrato anche dalla fretta con cui si è concluso: “Busco doveva essere condannato per la troppa forza tecnica dell’accusa, per la logica dell’invincibilità accusatoria. –  Queste è il parere rilasciato all’Adnkronos da Carmelo Lavorino criminologo –  Busco è stato condannato anche per l’inconsistenza della strategia difensiva  – ha concluso Lavorino – perché Roma doveva chiudere il caso via Poma”. Parole pesanti, che non si possono fraintendere.
Anche il criminologo Francesco Bruno  – molto conosciuto dal pubblico televisivo per le sue apparizioni sul piccolo schermo, in trasmissioni che hanno esaminato vari episodi criminosi , primo fra tutti il caso della Franzoni –  afferma che non vi sono prove sufficienti  in questo processo indiziario: “Non c’è prova alcuna che Raniero Busco abbia ucciso Simonetta Cesaroni. Non si sa nemmeno con certezza che sia mai entrato in quell’ufficio”. Francesco Bruno dichiara di essere “profondamente stupefatto” della condanna a 24 anni all’ex fidanzato della Cesaroni. “Ancora una volta si dimostra come i giudici di primo grado risentano delle ipotesi accusatorie”, fa notare il criminologo. “Busco sarà certamente assolto in appello ma sarà ben difficile cancellare quel marchio che gli hanno appiccicato addosso. Speravo che infine si tenesse in maggiore considerazione la fragilità accusatoria e che nel dubbio si arrivasse ad una soluzione più ragionevole. Così non è stato, tuttavia –  conclude Bruno – nella condanna a 24 anni (e non all’ergastolo ndr) c’è tutto il senso di una non certezza della sua colpevolezza”.
Nomina sunt conseguentia rerum, ovvero ‘le parole devono essere conseguenza delle cose’, e quindi dei fatti accaduti. Quindi ripetiamo che, sino alla lettura delle motivazioni della sentenza, non si può e non si dovrebbe esprimere certezze sui fatti, ma si possono esprimere dei dubbi che i criminologi, con le loro dichiarazioni legittimano.

Vi sono senza dubbio delle stranezze sia da parte della Calò, il pubblico ministero che ha portato avanti il processo , sia da parte del Busco. La Calò afferma che non c’è alcun dubbio sulla conferma del Dna raccolto sul corpo della Cesaroni, lasciato dall’assassino attraverso un morso al seno: “Un morso – ha dichiarato la Calò – dato contestualmente all’omicidio. È questa una certezza dal punto di vista medico-legale. Il morso è stato prodotto contemporaneamente a tutte le altre ferite inferte in un breve arco di tempo. Ventinove colpi”. Dice poi, il pubblico ministero, con riferimento al morso, che non può essere stata lasciato che dal Busco perché la sua arcata dentale “unica e non modificata dal trascorrere del tempo” corrisponde ai segni lasciati sul corpo della ragazza.

Certo che nonostante l’alta qualità degli esami effettuati, si rimane dubbiosi di come si possa avere la certezza certa che il morso sia stato dato “ contestualmente all’omicidio”. Vogliamo dire che ci sembra troppo poco per condannare per omicidio.
Un fatto importante può avere giocato a sfavore  dell’accusato: egli non avrebbe mai specificato dove si trovava e cosa stesse facendo quando è stato commesso l’omicidio. Questo suo non dire potrebbe essere sembrato ai giudici una prova della sua colpevolezza.
Certamente non ci soffermiamo né sulle parole dette da Raniero Busco, né su quelle dei familiari della vittima dettate da una sete di ‘giustizia’ partigiana, né tantomeno su quelle dei legali di parte civile, perché troppo utilitaristiche. Ad esempio l’affermazione dell’avvocato Lucio Molinaro, legale di parte civile di Anna Di Giambattista, madre di Simonetta Cesaroni, ci sembra faccia fa parte della retorica forense tanto cara ad avvocati e politici: “Non c’è mai stata nessuna scelta di un capro espiatorio ma solo la volontà di arrivare alla verità”. Francamente non ci sembra che la verità vera sia mai stata annunciata da retori togati mercenari.
Nemmeno le, usando un eufemismo, fantasticherie dello scrittore Bevilacqua, che ha dichiarato, dal suo pulpito, che la condanna del Busco è “del tutto assurda”. ci sembrano degne di essere ascoltate. Le sue affermazioni da medium, in vena di presenzialismo, ce le saremmo risparmiate volentieri: “quella casa di via Poma è maledetta. Due anni prima in quel palazzo ci fu un altro delitto di una donna. Io lo feci notare. Nessuno mi ha mai dato retta”.

Per finire non vorremmo scordarci di un fatto realmente inquietante che getta un’ombra oscura sul delitto di via Poma e sulla condanna di Raniero Busco: la morte violenta di Pietrino Vanacore, il portiere di via Poma, dove Simonetta Cesaroni venne assassinata, suicidatosi lo scorso marzo,  con modalità quantomeno strane, visto che è annegato in mezzo metro d’acqua.
Troppi sono i dubbi da chiarire, ma ciò che lascia perplessi è la mancanza di un movente sia per l’omicidio di Raniero Busco sia per il suicidio del Vanacore.
Perché il Busco ha ucciso? Perché Vanacore si è suicidato pochi giorni prima di essere interrogato?

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