Giorgiana Masi, ancora senza giustizia. Vietato il corteo

ROMA – Domenica prossima ricorre  il 36esimo anniversario della morte di Giorgiana Masi, che, il 12 maggio 1977, durante una manifestazione per celebrare la vittoria del referendum sul divorzio, venne assassinata.

Anche quest’anno si celebrano manifestazioni in ricordo della giovane assassinata che dovrebbero convergere su Ponte Garibaldi, luogo in cui Giorgiana fu assassinata. Il condizionale p d’obbligo visto che la Questura ha vietato il corteo perché a Roma si svolgerà in quello stesso giorno la marcia antiabortista. Il divieto, fanno sapere gli organizzatori della manifestazione per Giorgiana, non sarà rispettato. “Domenica prossima – afferma Claudio Ortale, vice Presidente uscente del Consiglio del Municipio Roma 19 e candidato a consigliere al Comune di Roma – scenderemo in piazza come ogni anno perché questa città, prima di essere del Vaticano, è di tutti i cittadini e le cittadine che continuano a ricordare Giorgiana proseguendo quotidianamente le sue battaglie”.

 
I fatti
Giorgiana Masi, la diciannovenne studentessa e attivista radicale fu uccisa, il 12 maggio del 1977, durante gli scontri tra manifestanti e forze di polizia in piazza Navona. Un nome, quello di Giorgiana, indissolubilmente legato all’alto livello di tensione sociale che si respirava in quel periodo e assurto a simbolo, suo malgrado, di tutte le vittime della violenza di stato.  A più di trent’anni da quei tragici eventi, i responsabili del suo omicidio sono rimasti impuniti.
Una morte dai contorni poco chiari, quella di Giorgiana, su cui si allunga il triste sospetto, divenuto negli anni quasi una certezza, che a sparare su una giovane manifestante inerme non sia stato un compagno del movimento, come all’inizio si era voluto far credere, ma la mano armata di poliziotti in borghese, travestiti da autonomi e infiltrati in cortei e manifestazioni.

Il giorno in cui la vita di Giorgiana sarebbe finita sull’asfalto di ponte Garibaldi i Radicali avevano indetto, in piazza Navona, un sit – in per celebrare il terzo anniversario del referendum sul divorzio nonostante il divieto di manifestazioni pubbliche, decretato dall’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga, a seguito dell’uccisione dell’agente Settimio Passamonti e il ferimento di cinque agenti di pubblica sicurezza durante gli scontri di piazza del precedente 21 aprile. Quella del 12 maggio doveva essere una giornata all’insegna dell’allegria e della nonviolenza, ma ben presto si tramutò in un vero e proprio fiume di sangue, con ferimenti e percosse. A pesare sulla coscienza collettiva una foto in particolare, scattata da Tano D’Amico, il fotografo ufficiale del Movimento che più di ogni altro ha saputo raccontare per immagini quei contraddittori e passionali anni Settanta: al centro dell’inquadratura si vede un poliziotto in borghese, vestito da autonomo, armato e pronto a sparare ad altezza uomo sulla folla. E come lui tanti altri. Immagini che confermano quanto i giornali dell’epoca raccontarono, testimoniando la ferocia gratuita con cui gli agenti si scagliavano contro inermi cittadini. Immagini che valsero più di mille parole e costrinsero l’allora ministro dell’Interno ad ammettere una parziale verità, passando da “non c’erano poliziotti tra la folla”, a “c’erano poliziotti in borghese, ma non armati” per finire a “c’erano poliziotti in borghese armati, tra la folla, ma non spararono”. Una mezza verità, avendo sempre l’ex ministro escluso che a sparare fossero stati i poliziotti, imputando piuttosto il tragico evento alle provocazioni dei manifestanti. E, così, in una sonnecchiosa e semivuota aula parlamentare, andò in scena l’interrogazione con cui l’on. Marco Pannella cercava di inchiodare  l’ex ministro alla sue responsabilità riguardo l’inadeguata gestione dell’ordine pubblico, non ottenendo altro che la sostituzione dell’allora questore di Roma. Nemmeno il Libro bianco, dossier redatto in quell’anno dai Radicali per far luce sulla morte di Giorgiana Masi, sortì effetto alcuno. Il processo istituito contro ignoti per la morte della studentessa, infatti, si chiuse nel 1981 per impossibilità a procedere. Ignoti i responsabili, ignoti gli eventuali mandanti e una sete di giustizia inappagata.

Il caso di Giorgiana Masi, tuttavia, si affaccia nuovamente alla ribalta pochi anni fa quando, dalle pagine del Corriere della Sera, Francesco Cossiga torna sulla questione, imputando ancora l’uccisione della giovane al fuoco amico dei compagni del Movimento. Poco tempo dopo, Cossiga prima di morire,  fu intervistato nel corso della trasmissione di Raitre “Report”,e lascò intendere di essere a conoscenza di alcuni segreti di Stato, segreti che non rivelerà mai. Tra questi, forse, anche il nome degli assassini di Giorgiana. I dubbi rimangono, così come rimane lo sconforto per la morte di una ragazza ancora in attesa di giustizia.

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