Processo Ruby Bis, va in scena la Minetti

“Sto una favola, sto benissimo, la politica non mi manca”. Esordisce così Nicole Minetti arrivando nell’aula della V sezione penale del Tribunale di Milano. È il suo giorno al processo ‘Ruby bis’ in cui l’ex consigliera regionale del Pdl è imputata insieme a Emilio Fede e Lele Mora; nella precedente udienza, la pubblica accusa ha chiesto una condanna a sette anni di carcere per favoreggiamento e induzione alla prostituzione.

Si presenta abbronzata e in giacca nera, e prende la parola seduta a fianco dei suoi legali. Minetti ricostruisce il suo arrivo a Milano e la conoscenza con Berlusconi. “Sono arrivata a Milano nel 2006, a 21 anni, per seguire il corso di laurea in igiene dentale. Ho accompagnato i miei studi cercando di fare qualche lavoretto, la hostess a eventi e fiere. Alla Fiera del Ciclo e Motociclo, nel 2008, ho stretto per la prima volta la mano all’allora presidente. Ottenni solo grazie alle mie doti di entrare nel corpo di ballo di ‘Colorado cafè’ e qui conobbi Maristhelle Polanco che mi parlò con riconoscenza del presidente. Quando lo incontrai lo dissi a Berlusconi. Mi apparse molto lusingato e iniziò un discreto corteggiamento da parte sua anche tramite la Polanco. Mi invitò tramite lei alle cene – continua l’imputata – fui da subito affascinata dalla personalità e dal carisma che esercitava su di me. Nacque una grande amicizia che sfociò in una relazione.

Tengo a precisare una volta per tutte che si trattava di un sentimento vero e sincero”. “Questa storia ha scatenato su di me, e solo su di me, una feroce campagna di diffamazione portata avanti da giornali, tv e web senza precedenti, fondata su cattiveria e malvagità sulla cui origine bisognerebbe indagare” ha proseguito l’ex consigliera regionale. Sul suo ingresso in politica Minetti ha sottolineato che “era chiaro, avendo noi una relazione sentimentale, che egli sarebbe stato felice di aiutarmi”, spiegando che “avevo espresso il desiderio di cimentarmi in politica e quasi per caso, si presentò un’occasione importante durante la preparazione delle liste per le elezioni del Consiglio Regionale in Lombardia: il presidente mi disse che don Verzé, l’allora rettore del San Raffaele, avrebbe avuto piacere di avere un esponente del suo istituto all’interno del Consiglio e siccome lo stesso Don Verzé in più occasioni si era espresso con giudizi lusinghieri nei miei confronti venne quasi spontaneo pensare a me”. “È inutile dire che con una gioia pari alla inconsapevolezza decisi di accettare la proposta” ha concluso la Minetti che diventò consigliere regionale pidiellino “grazie al listino bloccato”. “Sono entrata in politica con un ruolo di responsabilità per cui non ero pronta” prosegue poi. Tuttavia, afferma: “Nemmeno questo giustifica l’odio verso di me, non sono stata l’unica ad avere un posto nel listino bloccato”. Ha poi spiegato di non aver “mai invitato nessuna delle parti offese a nessuna delle cene a casa del Presidente. Ritengo che l’accusa si fondi solo su un teorema privo della indicazione di concreti fatti di reato, fondato su un malcelato moralismo. Spero (…) che questo Tribunale faccia giustizia restituendomi un poco della serenità perduta distinguendo tra giudizi personali e responsabilità morali”. Su Ruby e il suo ruolo nel ‘riscatto’ della ragazza nella Questura di Milano dopo le ormai notissime telefonate dell’ex premier afferma: “Ho conosciuto Ruby ad Arcore, credo il 14 febbraio 2010, come tutte le altre partecipanti a quella serata, e così come è accaduto a tutte le altre non ho mai avuto modo di dubitare che l’età di Ruby fosse quella da lei dichiarata. Mi stupisce continuare a leggere di 122 contatti telefonici con lei, anzi lo escludo decisamente se gli stessi si riferiscono a fatti diversi da quelli poi accaduti il 27 maggio 2010”. E proprio rispetto al giorno in cui Karima El Mahroug in arte Ruby Rubacuori venne portata in Questura e la Minetti si recò negli uffici di via Fatebenefratelli, l’ex igienista dentale ha dichiarato che “in quell’occasione, e solo perché richiesta, mi ero prestata a quella che, da parte del Presidente era la volontà di aiutare nella precisa identificazione della persona che in quella, solo in quella occasione, si era rivelata essere una minore”. In quei frangenti emerse anche la necessità dell’affidamento di Ruby, comunicatami dall’ispettrice Iafrate, ancora una volta come atto di generosità mi prestavo nell’immediato all’occorrenza – ha proseguito la Minetti – pensando di fare del bene, alla fine si trattava di un atto temporaneo e formale al fine di poter consentire alla Ruby di tornare a casa sua e non passare la notte nella camera di sicurezza in Questura, così come mi spiegava la stessa dottoressa Iafrate”.

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