Epifani: un congresso che mobiliti il partito e parli al paese

Pubblichiamo la BOZZA NON CORRETTA del discorso di Epifani alla Direzione del 26 luglio. Discorso sul quale sono state date diverse interpretazioni. Questo il testo

 

In contemporanea con i lavori della nostra direzione, si stanno svolgendo i funerali di Laura Prati. Io ne voglio ricordare l’impegno, la grande determinazione. Ancora una volta traiamo esempio da un comportamento ineccepibile per ritrovare ragioni alte e nobili di chi fa politica al servizio del cittadino, in un momento nel quale anche verso la politica troppi e indistinti sono i segnali di malessere. Un comportamento come il suo nobilita la politica, nobilita la funziona di un amministratore e nobilita anche la su appartenenza alla comunità della quale le siamo grati, tanto più in questo momento. Presidente dell’assemblea provinciale del partito. Vorrei che noi non la scordassimo e che restasse tra i grandi eroi civili che la nostra storia ha dentro di sé, anche come esempio per le nuove generazioni.

Vorrei iniziare questo intervento facendo il punto e il bilancio dell’azione del governo e dei rapporti tra l’iniziativa del partito e l’iniziativa del governo. Io credo che possiamo iniziare dicendo che noi troviamo conferma da questi 90 giorni di tre dati essenziali che conoscevamo ma che le vicende di questo periodo hanno ulteriormente confermato e rafforzato.

Questo è un governo di servizio e di condivisione dei compiti essenziali

Il primo dato è la conferma che non potevamo non seguire la strada che abbiamo seguito, in assenza di altre soluzioni e nella impossibilità di tornare al voto. Questo era ed è, come abbiamo detto dal primo momento, un governo di servizio, non un governo di pacificazione. Governo di servizio vuol dire governo di condivisione delle funzioni e dei compiti essenziali che il governo aveva in questa fase drammatica della sua vita economica e sociale. Ed è proprio la profondità della crisi alla base di questa scelta e alla base del lavoro che il governo si trova davanti. Il 2013 sta andando peggio delle previsioni. Con il 2013 si chiude il sesto anno di fila di crisi. Una crisi così lunga non l’abbiamo mai attraversata. Neanche negli anni più bui nella storia del Paese. Chiuderemo l’anno con una caduta del Pil tra l’1,8 e il -2%. Attorno a 180mila posti di lavoro in meno. Abbiamo un calo degli investimenti fissi. Fino a fine anno questa tendenza difficilmente cambierà. Abbiamo solo qualche timidissimo segnale di qualche frenata della caduta. La durata della lunghezza della crisi è il primo dei problemi. Basta girare per le aziende, per le attività commerciali, per le famiglie per rendersi conto come è proprio la durata della crisi a generare un punto di difficoltà per tantissime persone. Vale per le famiglie dei lavoratori, vale per i giovani precari che non trovano lavoro, vale per gli esercizi commerciali che hanno retto i primi due o tre anni e nella lunghezza di questa crisi oggi non ce la fanno più. Anche il quadro finanziario resta delicato. Resta delicato perché pur essendo tra i paesi più virtuosi per quanto riguarda la dinamica del deficit, il nostro debito è quello e, anzi, in valori percentuali è addirittura aumentato. Lo stesso downgrading di Standar’s&Poor’s, che non è giustificato, avvicina di nuovo il nostro Paese a un livello di guardia. E se ci guardiano attorno nei paesi vicino a noi nel Sud del Mediterraneo, Grecia, Portogallo, Spagna e addirittura la Francia, noi troviamo segni di difficoltà ovunque.

La seconda conferma che troviamo è che per quanto ristretti siano gli spazi per l’azione del governo, ci sono anche fatti positivi. Possiamo annoverare tra i fattori positivi che l’azione del governo e soprattutto di Enrico Letta hanno confermato in questi tre mesi l’aver ricostruito una credibilità internazionale, ritrovata e confermata. E nel momento in cui molte cose dipendono dalle scelte che si fanno fuori da noi e soprattutto in Europa questa credibilità rappresenta in sé un valore. Abbiamo usato questa credibilità per negoziare al meglio il bilancio dell’Unione europea, fino alle aperture che abbiamo potuto conseguire. Penso in modo particolare al tema del lavoro giovanile e dell’occupazione giovanile. Siamo usciti dalla procedura infrazione che di per sé è già risultato positivo, perché ci dà quel minimo di autonomia di bilancio per il 2014 che non avremmo avuto se non fossimo usciti da questa delicata procedura. Naturalmente, in questo c’è anche il giudizio sui primi provvedimenti del governo. Corretto partire dai rifinanziamento della Cassa integrazione in deroga, come chiedevamo. Corretto assumersi questa grossa ma giusta responsabilità di restituire una parte dei crediti che le aziende hanno verso le pubbliche amministrazioni. Giusto aver voluto e aver approvato oggi alla Camera, sia pure tra mille difficoltà, il decreto del Fare. Lo stesso rimando di tante partite aperte, in modo particolare di ordine fiscale, alla legge a legge di stabilità può essere visto come un rinvio ma può essere visto anche come l’unica possibilità seria per potere fare in un’unica manovra di bilancio scelte oculate, sia sul versante dei tagli alla pressione fiscale, sia sul versante delle politiche sulle spese e sulle uscite. Ed è infine un governo – e non è questione da poco – che ha recuperato un rapporto corretto con il complesso delle rappresentanze sociali e con il complesso delle rappresentanze istituzionali.

Terza conferma. Quei problemi e quelle difficoltà che avevamo intravisto già all’inizio e che nascono sostanzialmente dal fatto che tra noi e il Pdl ci sono differenze profonde. Di rifermenti sociali, di culture, di valori, di senso dello stato. E una coalizione, come sappiamo, molto eterogenea che poggia spesso su interessi sociali e contituency diversi. Pesano, oltre a questo, segni troppo diffusi di un degrado del confronto politico. E intendo riferirmi, in modo particolare, a quella questione che fuori dai nostri confini ha avuto addirittura più peso ed eco rispetto a quella della donna kazaka. Mi riferisco alle insopportabili e volgari battute che il vice-presidente del Senato Calderoli ha voluto con un fare inammissibile usare verso il nostro ministro Kyenge alla quale rinnoviamo la nostra solidarietà e la  nostra stima.

Pesa naturalmente – dobbiamo anche dirlo – la politica parlamentare del Movimento 5 Stelle fino alla vicenda di queste ore, di questi giorni e all’assenza di motivazioni vere che ne possono stare alla base. Hanno naturalmente pesato in successione due fatti: le reazioni scomposte e inaccettabili dopo la decisione della Corte di Cassazione di fissare al 30 luglio l’udienza per il processo a Silvio Berlusconi fino alla richiesta, ai limiti dell’eversione, di chiedere una sospensione di tre giorni dei nostri lavori parlamentari.

Ma anche fatti più piccoli. Penso a quello che sta oggi sui giornali ma che conoscevamo da tempo. E cioè a quella richiesta di depenalizzare con un emendamento il reato di finanziamento illecito dei partiti. E pesa, naturalmente, la vicenda del caso kazako. Come è stato definito del Presidente della Repubblica e poi ribadito da quello del Consiglio una vicenda inaudita, nella quale sono in ballo tante responsabilità e tanti incroci di problemi, taluni dei quali definiti dalla relazione del capo della Polizia, ma tanti altri in attesa di essere chiariti e compresi fino in fondo. Resto dell’opinione che di fronte a questi fatti – anche se ho chiaro che si tratta di fatti molto complessi e che non investono una sola sfera della responsabilità politica – che forse il  ministro Alfano poteva fare un passo indietro. Noi d’altra parte non potevamo fare altro, rispetto a questa vicenda. E voglio dare atto al presidente del Consiglio Enrico Letta di aver lavorato da subito per accertare e mettere in trasparenza l’insieme tortuoso e complesso che ha portato nel giro di tre giorni a ricondurre una donna e la figlia di sei anni. Non potevamo che respingere la mozione di sfiducia delle opposizioni. Ma tutto questo, diciamolo con franchezza, ha pesato sull’immagine dell’azione di governo e ha pesato anche in rapporto con la nostra gente e il nostro popolo. Basta girare tra le nostre feste in questi giorni per comprendere come su questo tema polemiche, come interrogativi, richieste di chiarimenti emergano anche, ripeto, in ragione di passaggi e responsabilità non ancora chiariti del tutto. Ma essere poi onesto fino in fondo, su tutto quello che sta davanti a noi, sia come partito, sia che come Paese, sia come governo, pesa l’incognita della sentenza della corte di Cassazione. Quando sarà e come sarà. E dei problemi e conseguenze che potrà determinare. Fermo restando – e qui lo ribadisco di fronte alla nostra direzione – la nostra posizione non potrà che essere, in caso di condanna, quella in base alla quale le sentenze si rispettano e vanno fatte applicare. Ma è evidente che la conseguenza di questa decisione della Corte, quale che essa sarà, produrrà comunque effetti che oggi no siamo onestamente in condizione di prevedere.

Alla luce di questo sarà forse opportuno – e lo valuteremo nei prossimi giorni con la Presidenza – di riconvocare la nostra direzione a valle della decisione della Corte di Cassazione. Il Partito Democratico sta dando un sostegno leale all’azione di governo, in condizioni spesso non facili. E penso in modo particolare alle difficoltà di coordinare i lavori tra le due Camere, tra partito, gruppi parlamentari e scelte di governo dei singoli ministri e il rapporto tra tutto questo e gli interessi che rappresentiamo del territorio. Qualche volta, va con chiarezza in questa sede, pesano anche le divisioni che abbiamo registrato al nostro interno. Che sono legittime e utili, quando esprimono punti di vista diversi, ma che non possono configurare comportamenti divergenti che producono l’effetto sistematico – ogni volta si rivela così – di rovesciare su di noi responsabilità o problemi quando le fonti della responsabilità e dei problemi vengono dall’altra parte.

Dobbiamo riflettere in modo particolare su due punti. Come l’azione di governo di servizio sia più efficace, soprattutto sul terreno della crisi economica, dove la questione essenziale a me sembra restare quella di essere in grado di poter produrre rispondere più stimoli all’economia, agli investimenti. Risolvere o avvicinare alla soluzione il problema della liquidità e dei prestiti alle famiglie e alle imprese. Come trovare momenti e forme di sostegno alla domanda. Come allentare il patto di stabilità degli enti locali in funzione anti-ciclica. Come occuparsi con più forza di questioni come quella della scuola, dell’occupazione, soprattutto femminile, delle povertà che stanno aumentando. E in secondo luogo come il partito, questa volta noi, insieme, debba essere percepito come soggetto di proposte, di sollecitazione. Sui temi dei nostri insediamenti e programmi, nella sua capacità di autonomia, e insieme di soggetto responsabile delle scelte che si assume. In una parola, abbiamo bisogno di più forza dell’azione di governo e di più forza dell’azione del partito. La presenza di Enrico Letta all’assemblea dei parlamentari l’altra sera è stata utile e apprezzata. E continuerà nell’assemblea del Senato. Tocca poi al partito, e non ad altri, il compito di aiutare la modalità attraverso cui possiamo e dobbiamo legare l’azione sul presente, il governo di servizio, in questa crisi pesante del Paese, e quella della prospettiva, quando si tornerà alla normale dialettica democratica e dentro questo confermo qui che per quanto riguarda tutta la sfera dei diritti, dei diritti civili dei diritti delle persone, il nostro partito e i nostri gruppi lavoreranno in Parlamento per dare soluzione ai problemi più urgenti che sono sul tappeto. Sempre in questo quadro il cammino delle riforme mantiene che avevamo insieme assunto all’inizio della legislatura. Al governo la sua funzione di servizio, al Parlamento la sua funzione di non fallire l’ennesimo appuntamento con le riforme istituzionali. Da questo punto di vista, all’inizio di settembre, alla ripresa del lavori parlamentari, sarà nostro compito definire e continuare quel lavoro che in parte già si è avviato per avere un’idea compiuta attorno ai nodi del processo di riforma da parte dei nostri gruppi parlamentari e del partito, in modo da trovarci preparati alla discussione di merito una volta superata la questione procedurale degli assetti di cambiamento delle nostre istituzioni. E la stessa deve valere per la legge elettorale. Stare fermi, aspettare, secondo me ci espone. Ma muoversi vuol dire però assumere, scegliere non solo un punto di partenza ma soprattutto un punto di arrivo, un obiettivo finale. Il punto di partenza si può trovare. Per esempio riprendendo la proposta depositata all’inizio di legislatura che corrisponde alla posizione del partito in materia elettorale. Ma la questione vera che andrà discussa, e a partire da settembre risolta,  è come si lega il punto di partenza della nostra proposta al risultato che vogliamo ottenere.  E questo richiede una discussione franca tra di noi, esplicita in assenza di essa ci troveremmo da qui a qualche tempo a dover poi decidere dopo con più difficoltà in quale contesto operare per fare avanzare la nostra proposta sulla legge elettorale. Infine, riforme e problemi istituzionali, il Paese ha bisogno di recuperare un quadro di certezze sul complesso dei rapporti istituzionali e delle autonomie locali. Non a caso il punto e il cuore della proposta di riforma istituzionale è il Titolo V della Costituzione. Non a caso anche oggi il governo ha ripreso in mano la questione delle Province. Non a caso abbiamo una situazione finanziaria dei Comuni che non può essere lasciata così com’è oggi. Con Piero Fassino l’Anci ha oggi una guida forte. Tra governo, Conferenza delle Regioni e Anci abbiamo responsabilità che dobbiamo saper tradurre in un quadro di soluzione dei problemi. Per noi che nel territorio abbiamo la nostra forza e la sfida più importante tra quelle che abbiamo davanti. Altra parte il tema del rapporto tra politica e Paese. Tema fondamentale sul quale riflettere. La crisi fa crescere come sappiamo diseguaglianze. Non parla allo stesso modo per tutti i settori della nostra società della nostra società e del nostro Paese. C’è una parte del Paese che nella crisi riesce ad andare avanti e c’è una parte crescente del Paese che con questa si ferma e si chiude. Stanno salendo fiducia e rassegnazione. E la stessa durata e la lunghezza della crisi in sé è un fattore che contribuisce a far perdere fiducia nel futuro. E come abbiamo detto tante volte c’è una generazione di senza lavoro, quella che si è affacciata sul mondo del lavoro proprio all’inizio di questa crisi che sconta tutti questi problemi e in modo maggiore la perdita di fiducia e di senso del futuro del Paese e del futuro personale. Qui c’è il terreno. A esso quale aggiungo, come le ultime elezioni hanno dimostrato, quel processo crescente di astensione verso il voto e verso la politica. Qui c’è il terreno di come la nostra  presenza al governo, del nostro partito, e la nostra presenza nei territori debbano muoversi assieme, usando l’arma del realismo ma anche quella dell’efficacia.

Europa: le politiche di sola austerità non aiutano la crescita e lo sviluppo

E infine il quadro internazionale. Le cose fatte in Europa non risolvono tutti i problemi. I risultati ottenuti nell’ultimo vertice lasciano aperti problemi giganteschi. Non di riesca ancora a far maturare dentro l’Unione Europa il segno che di fronte a una crisi come questa, politiche di sola austerità non aiutano né la crescita, né lo sviluppo, né la riduzione del debito. Non so se tutto è ascrivibile alla data delle elezioni tedesche. E non so, per la stessa ragione se il giorno dopo il risultato delle elezioni tedesche questa tendenza è destinata a modificarsi. Ma capisco che questo è uno dei grandi problemi che noi abbiamo di fronte a noi, se è vero come io penso – e come Enrico ci ha ricordato all’assemblea dei parlamentari dell’altra sera – che il 90% forse della soluzione dei problemi non sta nelle nostre mani ma sta nelle mani e nelle scelte che l’Ue sarà chiamata a fare in maniera diversa dal passato. Ma non c’è soltanto un “questo” quadro europeo. C’è anche un quadro europeo che richiama il bisogno di rimettere in campo un’iniziativa dell’Europa sul fronte meridionale. E’ come se in tutti questi anni l’Europa si fosse non solo allargata geograficamente tra Est e Ovest ma avesse in qualche misura fatto di questo il baricentro della sua attenzione e della sua iniziativa, a partire dall’iniziativa produttiva e commerciale. Dobbiamo invece essere di spostare il baricentro anche in direzione Nord-Sud perché noi siamo esposti su questo terreno. Perché i paesi più in crisi dell’Europa sono tutti quelli che si affacciano sul Mediterraneo e perché il Mediterraneo è tornato a essere un mare ad altissima densità di rischio di rischio come ci ribadisce da ultimo, come se ce ne fosse stato bisogno, l’assassinio del capo dell’opposizione in Tunisia di ieri. Voglio dire al comitato e alla Direzione che abbiamo avuto la responsività e fatto la scelta di mandare una nostra delegazione nei giorni scorsi in Egitto. Una nostra delegazione che ha incontrato tutte le parti politiche, tutte le fazioni in lotta e il governo. Un segno di come dobbiamo continuare a svolgere un ruolo anche in queste condizioni difficili.

La seconda parte di questa riflessione riguarda invece i temi che sono aperti davanti al partito, a partire dai temi del congresso. La commissione che abbiamo nominato concluderà dopo questa direzione i suoi lavori. Non spetta a questa discussione nel comitato direttivo il merito delle questioni, delle soluzioni su cui stiamo lavorando. E’ giusto però che alcuni nodi politici di fronte a noi vengano discussi esplicitamente in Direzione anche per aiutare la soluzione del lavoro della nostra commissione. In particolare, voglio porre alla discussione della Direzione quattro punti, quattro concetti e quattro scelte.

Il congresso è ora ed è chiamato a ridefinire il progetto del Pd

Il primo: il tempo del congresso è ora. E lo voglio dire con chiarezza: ritardare il congresso non serve, non risolve i problemi. Aiuta le fibrillazione e aiuta le incertezze. E non abbiamo bisogno né dell’una, né delle altre come si vede anche dalle raffigurazione di noi di queste settimane.

Secondo. Il congresso è chiamato essenzialmente a ridefinire il progetto del Partito Democratico per il Paese. Attraverso una rilettura dei processi sociali che la crisi sta componendo e scomponendo e un congresso in grado – questa almeno deve essere l’intenzione – di parlare a tutto il Paese. Un congresso che sappia rifondare, rafforzare il Partito Democratico, il suo senso, la sua identità culturale e politica, la sua autonomia di pensiero e il suo radicamento. Un congresso che sappia far valere il principio che non può essere eliminato il pluralismo interno ma non riducendo il pluralismo interno a una logica di corrente autoreferenziale spesso e senza prospettive. E lo dobbiamo fare per un motivo semplice: non c’è democrazia parlamentare e quindi moderna senza un ruolo del partito. Non c’è niente da fare. Possiamo considerare tra di noi che il partito moderno non è il partito che risolve e dà un senso a tutti i processi di una comunità e di una società. Ma il partito è uno strumento indispensabile. Senza di esso non si riesce a governare a processo, non si riesce a orientare una scelta, non si riesce a rappresentare una speranza, un bisogno, un senso di identità che dentro questa crisi diventa ovviamente più forte. Questo è il senso che dobbiamo dare al congresso, questa la funzione alla quale siamo tutti chiamati, non qualcuno. Siamo tutti chiamati a concorrere secondo le proprie possibili, capacità, responsabilità.

Terzo. Nella fase che stiamo vivendo, a pochi mesi da un ciclo di elezioni che oltre a quelle europee riguarderà gran parte dei nostri Comuni e qualche elezione regionale, e di fronte alle vicende che abbiamo alle spalle e anche alle difficoltà di rapporti, di smarrimento, di dubbi, di interrogativi che parte dei nostri iscritti, dei nostri elettori vivono, il congresso non potrà che essere un congresso che parte dai congressi di circolo, dai congressi provinciali e dai congressi regionali. Noi abbiamo bisogno nel tempo più breve possibile di andare alla discussione, alla scelta e al rinnovamento dei nostri gruppi dirigenti. Quando parliamo di elezioni amministrative da tenere a fine maggio, questo implica che quando arriveremo a gennaio partiranno le scelte, le modalità delle primarie, le scelte sui candidati e sulle alleanze, le scelte dei programmi e tutto questo deve vedere la nostra struttura di partito insediata e legittimata nei territori. In secondo luogo, fatta questa prima dimensione del congresso, si passerà alla formalizzazione delle candidature e poi quindi all’elezione e alla scelta del segretario del partito.

Quarto. Per quanto riguarda la questione del segretario del partito, delle sue funzioni, del suo ruolo è evidente che noi siamo di fronte a una discussione, una discussione che c’era, che c’è, una discussione alla quale dobbiamo provare a mettere un fine in maniera il più condiviso possibile. Io penso che sia possibile trovare questa strada partendo dalla condizione e dal contesto in cui si svolge il congresso, dalle questioni che abbiamo aperte davanti a noi e dai problemi che il partito ha. E questa strada si può poggiare attorno ad alcuni nodi. Il primo: io credo che vada riconfermata e formalizzata nel modo più solenne possibile – vedremo poi le forme – che quando si tornerà a votare la scelta alla premiership, alla guida del governo avverrà attraverso il metodo delle primarie aperte di coalizione. E quindi attraverso il voto di tutte le elettrici e gli elettori che si riconosceranno nel programma della coalizione. Aggiungo che a questa scelta va aggiunta una postilla in base alla quale noi prendiamo l’impegno a formare coalizioni che abbiano anche su questa indicazione di metodo un’assoluta coerenza. Coloro con cui ci alleeremo avranno cioè come base condivisa l’idea che si propone il candidato alla guida attraverso il metodo delle primarie aperte. Da questo punto di vista e in parte riconfermata questa scelta, il punto che io vedo è a cosa serva il partito oggi, quale figura di segretario.. Una figura di segretario alta, autorevole, legittimata, in grado di dedicarsi attraverso un progetto alla ricostruzione, alla rifondazione, al rafforzamento dell’azione del partito. Per le cose che dicevo prima. Da questo punto di vista, anche la direzione è chiamata a una discussione, a un orientamento e a una decisione. Perché siccome io penso per le ragioni che ci sono e  per quello che si possono definire, io credo che dobbiamo in qualche misura tornare in questa fase a un segretario che si occupi prevalentemente dei problemi del partito, ne consegue che anche la platea di riferimento per la sua elezione dovrà essere funzionale a questa scelta. Oppure, possiamo riconfermare la scelta tradizionale senza automatismi sapendo che anche quella scelta incrocia tanti problemi. Io chiedo su questo di esprimere un’opinione. Da questo punto di vista la Commissione delle regole concluderà il suo lavoro nei prossimi giorni. Convocheremo l’assemblea per le modifiche e per il regolamento il 14 settembre. E poi tutti gli adempimenti. E mi resta un’ultima cosa da dire: la Data del congresso. Su questo c’è stato in tutto questo periodo una simpatica e a volta anche eccessiva discussione. Io credo che dobbiamo un po’ tagliare la testa al toro diventa una discussione in cui nessuno ci capisce. Da questo punto di vista la decisione di quando tenere il nostro congresso non spetta al segretario. Spetta alla presidenza dell’Assemblea nazionale. Noi possiamo e dobbiamo dare un’indicazione. Per quello che mi riguarda io potrei e penso di proporre alla presidenza dell’Assemblea entro la fine di novembre per concludere i lavori del nostro congresso.

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