Gheddafi dal bunker: “Al Qaida vuole conquistare la Libia”. Tripoli: eccidi di massa

TRIPOLI – Al Qaida che vuole creare un emirato islamico in Libia è dietro i disordini in corso nel Paese nordafricano, vittima di un «malocchio» lanciato da «invidiosi»: questo in sintesi il messaggio trasmesso oggi dal leader libico Muammar Gheddafi intervenuto, per la terza volta in due giorni e con i consueti toni deliranti, in collegamento telefonico durante la diretta della tv di Stato di Tripoli. Rivolgendosi direttamente agli abitanti di Zawia, cittadina a ovest della capitale e teatro oggi di violenti scontri tra milizie lealiste e rivoltosi anti-regime, la «Guida della rivoluzione» ha detto: «Se volete questo caos siete liberi. E se volete continuare a combattere fra voi, continuate pure».

«Ma se la situazione peggiorerà, potrebbero interrompersi i flussi di petrolio», ha minacciato, sostenendo che «la Libia è vittima di un malocchio lanciato dagli invidiosi». Gheddafi si è scagliato poi contro al Qaida e il suo presunto leader Bin Laden, accusandoli di esser dietro «la crisi» in corso in Libia. «Al Qaida vuole creare un emirato islamico e il popolo libico non deve unirsi agli uomini di Bin Laden». Per il colonnello di Tripoli, che ha definito «una farsa» quanto sta avvenendo nella cittadina occidentale dove sarebbero morti solo «quattro uomini delle forze di sicurezza», «gli uomini di Bin Laden hanno distribuito droga agli abitanti di Zawia». «I vostri figli vengono utilizzati per raggiungere uno scopo. Disarmateli e catturateli». Gheddafi ha poi affermato che i Fratelli musulmani egiziani, movimento islamico radicale per decenni illegale in molti Paesi arabi, «non sono responsabili di ciò che è accaduto», ma ha al contempo messo in guardia da «ogni intervento militare americano Usa (in Libia) con la scusa di combattere al Qaida». «Io ho solo un’autorità morale, come la regina Elisabetta», ha detto la ‘guida della rivoluzionè, epiteto ufficiale usato dal 1977 per descrivere Gheddafi. «Non sono il presidente nè il capo dell’esecutivo, e non ho dunque il potere di promulgare leggi. Ma tenterò comunque di innalzare i salari ai dipendenti pubblici», ha aggiunto. La prima apparizione di Gheddafi dall’inizio dei disordini era stata nella notte tra lunedì e martedì scorsi, quando per appena venti secondi si era mostrato, protetto da un grande ombrello bianco, all’esterno della sua residenza, la caserma di Bab al Aziziya, a sud di Tripoli, danneggiata dai bombardamenti Usa del 1985. «Sono a Tripoli e non in Venezuela», aveva detto il leader libico, smentendo le voci di una sua fuga in Sudamerica. «Volevo dire qualcosa ai giovani di Piazza verde (teatro delle prime manifestazioni anti-regime) e stare con loro fino a tardi… ma poi è iniziato a piovere», aveva concluso. Da una finestra della stessa caserma-monumento, aveva pronunciato il giorno dopo un discorso durato circa un’ora e mezzo, nel quale aveva sfidato chi lo vuole «cacciare» dal potere, proclamando che sarebbe morto in Libia «da martire», minacciando di «ripulire la Libia casa per casa» dai ribelli e scagliandosi contro chi vuole «infangare» la Jamahiriya e rovesciare il suo regime. Abbigliato in una tunica marrone, in piedi il qaid (duce) aveva rivendicato la sua leadership: «Sono la guida della rivoluzione, non un qualsiasi presidente che possa dimettersi» e promettendo «resisterò fino all’ultima goccia di sangue».

Stupri e omicidi a Tripoli

Stupri, mutilazioni, spari sui feriti in ospedale: è una scia di orrore quella che i miliziani e i mercenari di Gheddafi stanno seminando in queste ultime ore nelle strade e nelle case di Tripoli, nel tentativo disperato di salvare il rais. L’ordine del colonnello, lanciato nell’apparizione televisiva di due giorni fa, era stato di «stanare e uccidere i ratti» dell’opposizione, e in questa logica, con crudeltà e efferatezza, si stanno muovendo le ‘squadre della mortè del regime, secondo quanto riferiscono testimoni e vittime. «Esponenti dei ‘comitati rivoluzionarì hanno fatto irruzione negli ospedali di Tripoli e hanno ucciso i feriti, quelli che avevano manifestato contro il regime. Hanno portato via i cadaveri, per farli scomparire, forse per bruciarli, perchè sanno che si stanno avvicinando giornalisti stranieri. I medici, che si sono opposti, sono stati minacciati. È avvenuto ieri e l’altro ieri», ha raccontato all’agenzia missionaria Misna Sliman Bouchuiguir, segretario generale della Lega libica per i diritti umani, citando fonti mediche locali. Su blog rilanciati dalla Bbc e da Al Jazeera, si narra anche di parenti uccisi mentre si avvicinavano agli ospedali per far visita ai loro congiunti. Per le strade della capitale libica, girerebbero anche «squadre della morte», riconoscibili per i loro caschi e abiti gialli, a caccia di dissidenti. Si tratta di civili, uomini assoldati dai militari, che così evitano di esporsi in prima persona. Sfondano le porte delle case, picchiano selvaggiamente gli uomini, violentano le donne, secondo le informazioni arrivate a Foad Aodi, presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia. «Sono diverse le testimonianze di donne che riferiscono degli stupri», afferma Aodi. Nessuna pietà poi per i soldati che si sono rifiutati di sparare sulla popolazione civile. Già a Bengasi, prima che la città venisse definitivamente conquistata dagli oppositori del regime, i medici hanno raccontato di orecchie e nasi mozzati ai militari «traditori». Oltre che libici, molte vittime delle violenze sono stranieri. In pericolo due volte: perchè considerati dai miliziani di Gheddafi come fomentatori della rivolta e dai cittadini come mercenari al soldo del dittatore. Egiziani, tunisini – riusciti a fuggire dall’inferno libico attraverso le frontiere di terra – hanno consegnato ai mass media racconti raccapriccianti di sevizie. Gli stranieri, specie gli africani, sono pure bersaglio della popolazione civile, che li scambia per mercenari di Gheddafi, anche quando si tratta di semplici immigrati.

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