Siria in fiamme. I rivoltosi contro Assad: “Col governo non trattiamo”. Decine di morti

DAMASCO – Il viso perennemente abbronzato del ministro dell’informazione siriano Mohsen Bilal appare in serata sugli schermi della tv panaraba al Arabiya per informare «i gentili telespettatori» che «a Damasco e nelle altre città del Paese la situazione è calma». In sovrimpressione appare invece la scritta «notizia urgente» che riferisce della morte di tre cittadini della capitale caduti sotto il fuoco delle forze di sicurezza governative e della chiusura dell’intero quartiere periferico da parte di agenti in tenuta anti-sommossa. È la fotografia di una nuova giornata di drammatiche notizie non confermate di decine di morti e di silenzi e smentite da parte delle autorità, che continuano a negare quanto invece appare ormai a fiumi sui video amatoriali pubblicati sulla Rete. A Samnin, villaggio a nord di Daraa, epicentro delle proteste senza precedenti nel sud del Paese, si parla di oltre venti morti, uccisi mentre cercavano di forzare il blocco delle forze di sicurezza, schierate a impedire che i residenti delle varie località dell’Hawran, di cui Daraa è capoluogo, affluissero in quella che è stata già ribattezzata «la porta della liberazione». Circa cinque ore dopo i presunti sanguinosi scontri tra residenti e forze dell’ordine a Samnin, un’indiscrezione di stampa attribuita a una non meglio precisata fonte ufficiale, informava della «morte di dieci dimostranti» nel villaggio del sud. A essere sotto assedio ormai non è più soltanto Daraa ma anche altre località dell’Hawran: testimoni oculari riferiscono di un ingente dispiegamento di militari dell’esercito, a cui sarebbe stato affidato il compito di gestire i posti di blocco agli ingressi di tutte le località coinvolte, che sarebbero una decina. Alle forze speciali guidate da un cugino del presidente e ai reparti speciali della polizia è invece affidato – sempre secondo le testimonianze che giungono non confermate dal sud della Siria – il lavoro ‘sporco’, entrare nei centri abitati e stanare i rivoltosi, disperdere i cortei, sparare a vista e ad altezza uomo.

Ma cortei anti-regime si sono avuti in maniera minore anche in quasi tutte le città del Paese: da Homs a Hama al centro della striscia di territorio fertile che da Damasco conduce fino ad Aleppo, e poi a Latakia, porto simbolo dello strapotere dei clan alawiti alleati degli Assad. Alcune fonti riportano la notizia – anch’essa priva di conferme – della morte di quattro persone a Latakia, e di scontri violenti con feriti a Jabla, poco più a sud, e nel sobborgo di Sleibe. Ad Aleppo il tentativo di manifestare a partire dalla Grande moschea è stato represso a manganellate all’interno della sala di preghiera, con un video amatoriale pubblicato su Youtube che conferma quanto raccontato dai testimoni. A Raqqa nell’estremo nord e a Qamishli, nel nord-est curdo ai confini con Turchia e Iraq, centinaia di persone sono scese in strada scandendo lo slogan ormai celebre della mobilitazione siriana: «Iddio, Siria, libertà e basta!», mentre cortei di lealisti hanno imperversato dalla tarda mattinata e fino al pomeriggio per Damasco, ripresi dalle uniche telecamere accese: quelle della tv di Stato.

La voce dei rivoltosi via skype

«Siamo in piazza e intendiamo rimanere. Col governo non negoziamo. Vogliamo la liberazione di tutti i prigionieri politici»: le frasi sono mozzate dalla concitazione ma anche da una linea telefonica disturbata, ‘clandestinà, che raggiunge Damasco attraverso un server Internet negli Stati Uniti. «È l’unico modo che abbiamo per parlare sicuri e raccontare al mondo cosa sta avvenendo». Ha trent’anni ed è noto come un «geek», un hacker «appassionato di tecnologia e nuovi media», ma non ha nome. «Per ragioni di sicurezza è meglio rimanere anonimi». Raggiunto via Skype dall’ANSA, il giovane siriano originario di Damasco ha oggi partecipato alle proteste anti-regime svoltesi a Duma, sobborgo a nord della capitale, subito dopo la tradizionale preghiera comunitaria del venerd. «Siamo oltre tremila nella piazza di Duma e intendiamo rimanerci. È l’unico modo per portare l’attenzione mediatica sulla nostra causa. A differenza di Damasco – afferma – le forze di sicurezza qui sono meno numerose e oggi non sono riuscite ad avere la meglio su di noi». «Vogliamo la liberazione di tutti i prigionieri politici», ripete. «L’annuncio di riforme fatto ieri dal consigliere del presidente è un modo solo per prender tempo. Perchè poi – si chiede in modo retorico – lo hanno fatto ora, dopo la mattanza a Daraa quando sono almeno dieci anni che il popolo siriano invoca quelle aperture?». «Siamo a fianco dell’Intifada di Daraa e di tutte le altre città del sud», da cui intanto arrivano notizie non confermate di decine di morti uccisi dalle forze di sicurezza. «Qui a Duma – prosegue il giovane – contiamo per ora dieci feriti gravi. Hanno provato a disperderci dopo la preghiera, ma siamo più numerosi e più tenaci. Non sono riusciti a portare tanti finti lealisti come invece stanno facendo a Damasco». «Avevo una piccola telecamera oggi e a un certo punto sono stato preso da un gruppo di agenti in borghese. Poi i miei compagni mi hanno liberato e l’ho recuperata. Ora posso mettere i video in Rete», afferma il ragazzo, che assicura che «non ci sono slogan confessionali». «Non ci sono musulmani o cristiani divisi in questa mobilitazione – ribadisce – perchè tutto il popolo di Siria vuole il cambiamento. Non torneremo indietro».

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