Fiat. La più grande impresa automobilistica, fra licenziamenti, suicidi e indifferenza

 

 

ROMA – Il cappio al collo di un uomo qualunque non fa più notizia, si confonde nella cronaca di morti annunciate da questa crisi che sta logorando il tessuto saldo del nostro paese.

Ma se quel cappio diventa il simbolo di una protesta, forte , simbolica, provocatoria, capace di rompere il muro dell’indifferenza, forse, è valso a qualcosa. Crediamo siano queste le riflessioni che hanno spinto i colleghi e amici di Maria Baratto a protestare con un gesto fortemente simbolico  inscenando l’impiccagione di un manichino che aveva il volto di Marchionne. La drammatica ondata di suicidi che ha colpito negli ultimi mesi i lavoratori cassa integrati della Fiat non può certamente essere considerata solo un fatto di cronaca. Perché  non si può pensare che perdere il lavoro non tocchi profondamente la dignità, con ripercussioni drammatiche sulla stabilità di chi lo subisce.

La vita delle persone ha un valore inestimabile ed è difficile accettare di vederle consumarsi dentro una profonda depressione soprattutto se quelle persone sono compagni di lavoro che condividono la stessa difficile sorte di lavorare in un’azienda che da anni gestisce i lavoratori come “materiale umano” da utilizzare.  E’ proprio questo filo diretto tra colleghi che ha spinto, a seguito del suicidio di Maria Baratto , i lavoratori della Fiat di Nola a protestare, con un gesto fortemente simbolico è stata inscenata l’ impiccagione di un manichino che aveva il volto dell’ AD Marchionne. Come risposta la Fiat ha  licenziato 5 operai. La Fiat si è sentita oltraggiata da questo gesto.

Nel Polo logistico di Nola da circa 6 anni sono ‘confinati’ e in cassa integrazione circa 316 operai.  In 6 anni sono 3 gli operai che si sono tolti la vita a causa della cassa integrazione e della gravi condizioni economiche e sociali. Qualcuno si è mai chiesto se abbandonare degli uomini alla deriva, distruggendone la dignità sia meno oltraggioso? 

 

 

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