Siria e Libia. La paura del potere, ovvero del silenzio insensato

ROMA – Ieri sera a Ballarò il sindaco di Verona, Flavio Tosi in risposta al Ministro della Difesa,  Ignazio La Russa, si schiera apertamente contro alcune decisioni della politica estera adottata negli ultimi tempo dal Governo, su tutti il conflitto in Libia.

Critico nei confronti dell’atteggiamento remissivo dell’Italia nella questione libica, inerte, secondo Tosi, al potere francese nella sua iniziativa bellico-politica.
Un conflitto troppo frettoloso, secondo il sindaco, dove la Francia ha forzato la mano per le sole ragioni economiche, petrolio in primis e scalzare, questa l’analisi spietata del sindaco leghista, l’Italia da “leadership”(?) nella colonia africana, creando un grave danno economico alle imprese nostrane.
A margine del discorso, e per noi questione centrale, il sindaco cita i recenti fatti della Siria, affermando che nessuno interviene in concreto per una evidente mancanza di interessi economici, nonostante la sollevazione popolare nei confronti di un regime dittatoriale, nonostante le continue sparatorie contro i manifestanti, nonstante la evidente mancanza di diritti umani e la oggettiva responsabilità dell’Onu.
La domanda che pone il sindaco è semplice, e noi la rigiriamo ai nostri politici: perché in Libia, in una guerra fra tribù, si è intervenuti con grande celerità e un dispiegamento di forze eccessivo ed in Siria, dove realmente vengono meno i diritti dei cittadini, nessuno è ancora intervenuto?

Si tenga presente che il regime siriano è considerato uno dei più repressivi del Medio Oriente.
Partendo da quest’ultima affermazione proviamo a capire le ragioni per quanto possibili del silenzio dell’Onu in questa specifica situazione.
La Siria è una repubblica presidenziale che negli ultimi trent’anni è stata sempre governata da un membro della famiglia Assad.
L’opposizione politica non ha praticamente spazio di manovra, i media sono strettamente controllati, e nella società sono onnipresenti i “mukhabarat”, i servizi di sicurezza.
Di recente in un’intervista il presidente dichiarò, dopo le prime proteste in Tunisia ed Egitto, che non ci sarebbe stata la possibilità che le rivolte “dei gelsomini” avvenissero nel Paese.
Per dare credito alle sue parole decise di aumentare i salari e ridurre i prezzi dei beni di prima necessità sperando di disinnescare un possibile contagio.
Si espresse anche a favore di una maggiore apertura nei confronti delle esigenze dei cittadini, dicendo che lo proteste in corso nei paesi arabi stavano accompagnando il Medio Oriente in una «nuova epoca» e che i vari leader dovevano tenerne conto.

La protesta nonostante le parole del presidente, germinava oramai anche in terra siriana, migliaia di manifestanti si trovarono nelle maqggiori città per manifestare contro il governo – i dimostranti sfilavano battendo le mani e ritmando slogan come: “Dio, Siria, libertà: ora basta”, “Pacifici, pacifici” – per porre fine allo stato di emergenza in vigore da 48 anni e maggiori riforme democratiche.
Questa è stata la prima vera manifestazione aperta contro il regime siriano; alawiti o sunniti, tutti i generi di siriani uniti per abbattere il regime.
È la fine di febbraio. La Siria diventa terra brucita, ogni movimento diventa sospetto, l’esercito per volontà del suo presidente ha libertà di azione, i morti invadono le strade, in questo baillame di esecranti fatti, sorprende – relativamente – il silenzio dei paesi democratici.

Qualche settimana fa il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite si è riunito su richiesta degli Stati Uniti per esaminare la situazione della Siria ma non è riuscita a trovare un accordo su una risoluzione comune.
Resta il fatto che Deera, la città nel sud della Siria da cui le proteste hanno avuto inizio, è assediata dall’esercito ormai da giorni e gli abitanti iniziano a essere senza acqua, cibo e medicine.
Diversi testimoni raccontano che i corpi dei manifestanti uccisi per strada vengono caricati all’interno di camion frigoriferi e portati via.
Non resta che attendere che i festeggiamenti sulla presunta, o vera che sia, morte del terrorista Bin Laden, vengano a conclusione, per dedicarsi seriamente alle varie questioni della Siria, dello Yemen, della Birmania e di tutti i territori invasi da regimi dittatoriali.
È chiedere troppo? È utopia?
Quale è il valore delle vita umana? Il costo di un barile di petrolio? L’assurda convinzione che ci siano dittature utili e meno utili? Che le rivoluzioni sono solo chimeriche prese di coscienze da parte di cittadini stanchi delle malversazioni?

Perché non è stata trovata una risoluzione unanime nei confronti del governo della Siria?
La Dichiarazione universale dei diritti umani promossa dalle Nazioni Unite nel 1948 sancisce che:
« Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. »
Se le cose non sono cambiate qualcosa nella politica mondiale non funziona al meglio!

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