Bankitalia. L’ultima relazione di Mario Draghi: “Meno tasse su lavoro e imprese”

ROMA – L’obiettivo è quello del pareggio di bilancio nel 2014, per dare stabilità alla crescita. Lo strumento è una razionalizzazione della spesa, voce per voce, senza tagli lineari. Il governatore della Banca D’Italia Mario Draghi non nasconde di condividere l’anticipo a giugno della manovra finanziaria triennale. E pone sul tappeto anche il tema della riduzione del peso delle tasse, per imprese e lavoratori. «Oggi bisogna in primo luogo ricondurre il bilancio pubblico a elemento di stabilità e di propulsione della crescita economica – dice nel suo intervento – portandolo senza indugi al pareggio». Bisogna allora procedere sia «a una ricomposizione della spesa a vantaggio della crescita», sia ridurre «l’onere fiscale che grava sui tanti lavoratori e imprenditori onesti».

I dati sono sotto gli occhi di tutti. Il deficit, quest’anno vicino al 4%, è migliore della media dei Paesi dell’euro, ma il debito pubblico viaggia vicino al 120%. Così – dice Draghi – «appropriati sono l’obiettivo di pareggio del bilancio nel 2014 e l’intenzione di anticipare a giugno la definizione della manovra correttiva per il 2013-14». La manovra dovrà essere «tempestiva, strutturale, credibile agli occhi degli investitori internazionale, orientata alla crescita», perchè così consentirebbe un calo dei tassi sul debito pubblico. Draghi traccia anche il sentiero. Non si possono ridurre gli investimenti o aumentare le entrate. Va ridotta allora la spesa che serve alla gestione pubblica «di oltre il 5 per cento in termini reali nel triennio 2012-14, tornando, in rapporto al Pil, sul livello dell’inizio dello scorso decennio». Attenzione però: «non è consigliabile procedere a tagli uniformi in tutte le voci» perchè penalizzerebbe le amministrazioni virtuose e «inciderebbe sulla già debole ripresa dell’economia, fino a sottrarle circa due punti di Pil in 3 anni». Serve invece «un’accorta articolazione della manovra, basata su un esame di fondo del bilancio degli enti pubblici, voce per voce, commisurando gli stanziamenti agli obiettivi di oggi, indipendentemente dalla spesa del passato». È quello che i tecnici chiamano spending rewiev. Ma c’è anche il nodo delle tasse. Draghi lo dice chiaramente. «Andrebbero inoltre ridotte in misura significativa le aliquote, elevate, sui redditi dei lavoratori e delle imprese, compensando il minor gettito con ulteriori recuperi di evasione fiscale, in aggiunta a quelli, veramente apprezzabili, che l’amministrazione fiscale ha recentemente conseguito». E questo «incluso l’Irap», per colpa della quale «l’aliquota legale sui redditi d’impresa supera di quasi sei punti quella media dell’area dell’euro». Sul tema Draghi suona anche il campanello dall’arme del federalismo: «può aiutare», dice il governatore, ma bisogna fare attenzione ad alcuni nodi cruciali. Tra questo quello delle tasse, affinchè «i nuovi tributi locali siano compensati da tagli di quelli decisi centralmente e non vi si sommino».

Lavoro e imprese

Meno tasse sui redditi dei lavoratori e delle imprese, un serio riequilibrio del mercato del lavoro, più imprese medie e grandi, una giustizia civile e una scuola più efficienti. È breve ma stringente il capitolo che il governatore della Banca d’Italia dedica al lavoro e alle imprese, tornando a segnalare le criticità del nostro sistema produttivo, a partire dal fatto che «non si è ancora bene adattato alle nuove tecnologie, alla globalizzazione». La flessibilità tipica delle piccole imprese, che in passato ha sostenuto la nostra competitività, «oggi non basta più», dice Draghi, avvertendo che «occorre un maggior numero di imprese medie e grandi» in grado di accedere ai mercati internazionali, di sfruttare i guadagni di efficienza offerti dall’innovazione tecnologica. «Una diffusa proprietà familiare – osserva – non è caratteristica solo italiana: lo è invece il fatto che anche la gestione rimanga nel chiuso della famiglia proprietaria». E in questo tipo di imprese, «la propensione a innovare è minore, l’attività di ricerca e sviluppo meno intensa, scarsa la penetrazione nei mercati emergenti». C’è poi il tema delle retribuzioni e del mercato del lavoro: le dinamiche retributive da noi sono modeste (nel decennio le retribuzioni reali sono rimaste pressochè ferme), non potendo discostarsi troppo da quelle della produttività, e la domanda interna ne risente, avverte Draghi. E peggio va sul fronte dell’occupazione: la diffusione dei contratti di lavoro a tempo determinato e parziale ha innalzato sì il tasso di occupazione, ma con «un pronunciato dualismo», creando una vasta sacca di precariato, soprattutto giovanile, con scarse tutele e retribuzioni. «Riequilibrare la flessibilità del mercato del lavoro, oggi quasi tutta concentrata nelle modalit… d’ingresso, migliorerebbe le aspirazioni di vita dei giovani», sottolinea. Così come la scarsa occupazione femminile, «fattore cruciale di debolezza del sistema», nonostante le giovani donne siano più istruite e guadagnino mediamente di meno. Per chi perde definitivamente il lavoro e ne cerca attivamente un altro, poi, Draghi chiede sostegno: non suggeriamo un assegno per tutti, spiega, ma «un sostegno sufficiente. La sorte di chi lavora in aziende che non hanno più prospettive di mercato deve essere resa meno drammatica». Sulla crescita dell’economia pesano poi l’inefficienza della giustizia civile (il tempo medio dei processi ordinari di primo grado supera i 1.000 giorni) e il «distacco del sistema educativo italiano dalle migliori pratiche mondiali», ciascuno dei quali costa un punto percentuale di Pil.

Finocchiaro (Pd): “Draghi ha messo il dito nella piaga”

«Anche con la sua ultima relazione il governatore di Bankitalia Mario Draghi, al quale facciamo i migliori auguri per l’incarico alla presidenza della Bce che ci rende fieri, mette il dito nella piaga delle questioni che ostacolano la crescita del Paese e che il governo non ha affrontato. La giustizia inefficiente, il mancato investimento su istruzione e ricerca e soprattutto la condizione delle donne e dei giovani sono ragioni di profonda iniquità che, insieme all’evasione fiscale, peggiorano di molto la vita delle famiglie e delle persone e frenano l’Italia». Lo dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd del Senato che sottolinea come «la politica dei tagli lineari e l’incapacità di fare riforme efficaci che il governo ha dimostrato in questi anni ha depresso il Paese». «Draghi ha detto chiaramente – osserva Finocchiaro – che la mancata riforma della giustizia civile e il distacco del sistema pubblico di istruzione dai livelli delle migliori pratiche mondiali valgono ciascuno 1 punto di Pil. Altra tragica miopia è tenere i giovani e le donne ai margini della società, gli uni in una condizione di precarietà cronica che si sta delineando come un paradossale salto generazionale e le altre lontane dal lavoro e dalle carriere, con il carico del welfare inefficiente sulle spalle». «Nel complesso siamo di fronte a una perdita di talenti e competenze, nonchè di capacità di innovazione, che il Paese non può proprio permettersi, pena un’ulteriore perdita di competitività. Insomma la relazione di Draghi fotografa una realtà triste ma evidente. Direi che il governo – conclude Anna Finocchiaro – raccoglie quel che ha seminato».

Damiano (Pd): “Fotografia impietosa”

«La fotografia del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, è impietosa per quanto riguarda la crescita e l’occupazione. In particolare si evidenzia la difficile situazione dei giovani e delle donne nel mercato del lavoro». Lo dice Cesare Damiano, capogruppo Pd in commissione Lavoro della Camera. «Tre anni di sistematica cancellazione di gran parte delle normative che avevano portato nel 2007 ad una valorizzazione del lavoro a tempo indeterminato – prosegue Damiano – si fanno sentire. Non è casuale che si sia passati, nelle nuove assunzioni, dal 50% di impieghi flessibili di quegli anni, all’attuale situazione che vede tale percentuale vicina all’80%. Inoltre, questi risultati sono anche stati favoriti dalla reintroduzione del lavoro a chiamata e dello staff leasing, dalla cancellazione della normativa contro i licenziamenti in bianco e l’uso dilagante dei vaucher in sostituzione del lavoro dipendente; tutte scelte volute dal ministro Sacconi e che hanno particolarmente colpito i giovani e le donne. Se si vogliono cambiare alla radice le attuali politiche del lavoro, bisogna cambiare governo», conclude.

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