Riforma fiscale: il nuovo bluff dell’illusionista Giulio Tremonti

ROMA – Berlusconi: meno tasse per tutti. Lo slogan con cui il magnate di Arcore, nei modi subdoli che gli sono propri, ha illuso per diciassette anni gli italiani trova in questi giorni nuovo smalto. Ma, come sempre, è una mano di vernice, non delle migliori, sulle condizioni economiche dei cittadini. Insomma, un nuovo bluff che il superministro Giulio Tremonti sta approntando per le nuove illusioni del secondo decennio del secolo.

IL BLUFF. Oramai la tecnica del superministro la conosciamo. Un po’ di linguaggio colto, parole impegnative come “riforma a saldo zero” o “spostamento del prelievo dalle persone alle cose”, riferimenti storico-comparativi, come in uso nelle aule universitarie. La sostanza, però, non viene chiarita. E la sostanza ci dice che questa maggioranza è uscita vittoriosa dalle elezioni dell’aprile 2008 soprattutto per il patto antifiscale firmato con i ceti imprenditoriali ed il lavoro autonomo. Questi ultimi hanno votato in massa per il centro-destra – insieme ad una certa fetta del lavoro dipendente ipnotizzata dalle mistificazioni dell’informazione televisiva, proprietà personale del leader della destra – per avere una certa libertà fiscale, cioè per poter adeguare la propria pressione fiscale alle esigenze economiche personali. Se sto in crisi, se il fatturato sta diminuendo, recupero con l’evasione.

IL VAMPIRO VISCO. L’esperienza del governo Prodi, con il tandem Padoa Schioppa (mai troppo rimpianto) e Vincenzo Visco con delega alle finanze, aveva scioccato i cosiddetti “ceti produttivi”. Infatti, Visco stava mettendo in cantiere l’unica riforma fiscale che dovrebbe attuarsi nel nostro Paese, basata sul riequilibrio della tassazione fra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Facendo emergere quest’ultimo (con un sistema efficace di controlli e con la ricerca non oppressiva della “fedeltà fiscale”), cioè rendendo la tassazione trasparente come accade da sempre per le buste paga dei lavoratori dipendenti, si sarebbero recuperate quelle risorse per abbassare le aliquote a tutti. In altri termini, la riforma del governo Prodi sarebbe consistita nell’espansione della base imponibile.

LA RIVOLTA FISCALE. Berlusconi, Tremonti e i loro giornali attaccarono Visco, disegnandolo come un vampiro e il sistema come uno “Stato di polizia”. I cosiddetti “ceti produttivi” ne furono talmente convinti da dare fiducia ai mistificatori del terzo millennio: con loro al governo, avrebbero di nuovo potuto sfruttare la leva fiscale, cioè la discrezionalità, più o meno totale, di adattare la propria curva del prelievo alle esigenze di cassa e cercare di evadere il più possibile le imposte indirette (l’Iva), occultando gli scambi e i depositi di merci. Esattamente quello che è successo con immediatezza. Ricordiamo che i primi provvedimenti presi dall’attuale maggioranza – come pagamento di una cambiale con l’elettorato di riferimento – furono l’abrogazione delle norme di Visco, come la tracciabilità dei pagamenti (solo in parte poi reintrodotta), gli obblighi dei committenti in materia di pagamento degli oneri contributivi degli appaltatori, e così via.

NODI AL PETTINE. Ora gli italiani si stanno convincendo – anche se di comprendonio molto duro ma stanno aprendo gli occhi – che la poco credibile coppia Berlusconi-Tremonti non potrà mai fare una riforma fiscale in grado di abbassare tasse e imposte, proprio perché i conti pubblici non lo consentono. L’unica via da seguire, come continuano a sottolineare Susanna Camusso e la Cgil, è l’allargamento della base imponibile, cioè quanto stava intraprendendo con successo Vincenzo Visco, insieme ad un innalzamento del sistema di prelievo sulle rendite finanziarie. Oggi, la persona fisica che incassa 10 mila euro da dividendi azionari o da obbligazioni, ne versa 1.250 allo Stato (aliquota pari a 12,50%); il precario che li guadagna con un contratto a termine, ne versa 2.300 (aliquota pari al 23%) e il reddito si somma agli altri per il calcolo dell’imposta personale (mentre i redditi da capitale sono soggetti alla “cedolare secca” e non concorrono a formare la base imponibile). Un evidente e insopportabile privilegio, che Tremonti si ostina a non voler colpire perché proprio lì sta la base del consenso della sua maggioranza.

LE ASTRUSERIE TREMONTIANE. L’idea di Tremonti di spostare la tassazione dalle persone alle cose (meno Irpef, più Iva) è poco più di uno slogan, una delle sue solite astruserie, combinata ad una notevole dose di mistificazione. Innanzitutto, come da calcoli della Cgil, per un lavoratore dipendente risparmiare circa 450 euro all’anno e spenderne 250 in più sugli acquisti, significa risparmiare circa quindici euro al mese. In secondo luogo, un aumento dell’Iva comporta pressioni sui prezzi, quindi inflazione, che appesantirebbe ancora di più il fardello del fiscal drag sulle buste paga (cioè, la differenza fra tassazione del reddito nominale rispetto al reddito reale) e quindi la “tassa occulta” dei lavoratori dipendenti, finendo per appesantire la già imponente crisi della domanda interna. Potrebbero però guadagnarci commercianti e imprenditori, caricando i ricavi sui prezzi. E il Pdl recuperare un po’ di voti in più. Ma la pressione tributaria rimarrebbe inesorabilmente la stessa di prima.

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