Egitto. Il corpo di Regeni parla. Fu torturato

ROMA – Il corpo del povero Giulio Regeni inizia a parlare e forse la verità, nonostante i silenzi assordanti, potrà venire a galla. L’autopsia non lascia adito a dubbi sulla causa della morte del giovane ricercatore: è stato barbaramente ucciso.

Sette costole rotte, segni di scosse elettriche sui genitali, lesioni traumatiche e tagli inferti con lame affilate su tutto il corpo, lividi e abrasioni e anche un’emorragia cerebrale. Ecco solo alcuni dei  primi drammatici riscontri, divulgati dall’agenzia Reuters, che confermano le torture subite dal nostro connazionale.

La Procura generale del Cairo ha secretato il documento, ma è indubbio che questa vicenda possa influenzare anche i rapporti diplomatici tra i due Paesi. Insomma, sono le autorità egiziane che ora hanno l’obbligo di fare luce e soprattutto dire apertamente se c’è stato un coinvolgimento della polizia. 

Non va dimenticato che al momento vi sono almeno 66 persone considerate ‘desaparecidos’ dagli attivisti egiziani nel mese di gennaio di quest’anno, a cui si aggiungono “42 casi di sospette torture in carcere”. LO ha denunciato la Commissione egiziana per i diritti umani. Uno dei responsabili della Ong, Mohamed Lotfy, spiega che per desaparecidos si intendono individui fermati dalle forze di sicurezza senza accuse formali, o senza che sia rivelato il luogo dove vengono attualmente detenuti. 

Ma bisognava proprio aspettare la morte di Regeni per mettere a fuoco la situazione egiziana?

Non proprio. Sono ormai di dominio pubblico le tante denunce lanciate da Amnesty International sulla  drammatica repressione e violazione dei diritti umani in Egitto.

Come spiega Riccardo Noury, Portavoce di Amensty International, da quando al Sisi è salito al potere, le organizzazioni per i diritti umani hanno registrato centinaia di casi di sparizioni e oltre 1700 condanne a morte (quasi tutte ancora non eseguite) e decine di migliaia di arresti, in larga parte nei confronti di sospetti militanti della Fratellanza musulmana, messa fuorilegge nel 2014. La tortura è praticata abitualmente nelle stazioni di polizia e nelle carceri, compresi i centri segreti di detenzione. La libertà d’espressione e manifestazione pacifica è pesantemente limitata e i difensori dei diritti umani e i giornalisti subiscono persecuzioni e processi irregolari. A questo Egitto di al-Sisi, tra l’altro, l’Italia ha mandato enormi quantità di armi.

Insomma l’Egitto è uno stato dove la trasparenza non è di casa. Per questo è venuta l’ora che le autorità collaborino fattivamente con l’Italia per scoprire la verità.

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