Il regime egiziano censura il caso
ROMA – Sull’omicidio di Giulio Regeni affiorano nuove verità che screditano ulteriormente l’operato e mancata collaborazione del governo egiziano. Spunta infatti una nuova mail, inviata tra l’altro per errore dal ministero dell’Interno egiziano dove viene chiesto alla procura generale egiziana di emettere “un ordine di riservatezza” sull’omicidio del ricercatore.
Il testo è eleoquente: “Per quanto riguarda la gestione mediatica dell’omicidio di Regeni e il ritrovamento dei suoi effetti personali nell’abitazione di uno dei componenti della banda ucciso il 24 marzo scorso a Heliopolis, e dopo gli sviluppi mediatici successivi e l’intenzione di alcuni organi di stampa di accusare il ministero dell’Interno in questo caso, chiediamo a sua Eccellenza di coordinarsi con il signor Procuratore generale per emettere un ordine di riservatezza sul caso sino
alla fine dell’inchiesta”. Ma non solo. “Un’altra nota – come denuncia l’agenzia statunitense Associated Press – suggeriva che il procuratore generale ha imposto un obbligo di non-pubblicazione sulle indagini nel caso del dottorando Giulio Regeni”, Insomma un modo che indica palesemente la volontà del governo di insabbiare l’omicidio efferato del giovane ricercatore italiano.
Due giornalisti arrestati
Anche il Sindacato dei giornalisti in Egitto si è fatto avanti denunciando con forza un “declino” della libertà di stampa e accusando le autorità di una “escalation della guerra contro il giornalismo” dopo l’irruzione di domenica sera della polizia nella sede dell’organizzazione e il conseguente arresto di due reporter. “Invece di adottare misure concrete per uscire da questa situazione, il governo a sorpresa si è reso protagonista di un’escalation della guerra contro la stampa e i giornalisti rappresentanti dal loro Sindacato”, ha aggiunto Qalash, leggendo un comunicato.
“Oggi dovrebbe essere un”occasione per celebrare la festa della libertà di stampa, ma qualcuno all”interno del potere ha voluto che fosse un giorno di lutto”, ha proseguito, denunciando come “29 reporter siano attualmente in carcere per motivi legati alla loro professione”.