Europarlamento, con Tajani maggioranza di centrodestra

STRASBURGO – L’elezione di Antonio Tajani alla presidenza del Parlamento europeo, ieri sera, è stata il risultato di una battaglia politica come non se ne vedevano da decenni a Strasburgo, con colpi di scena e capovolgimenti di fronte negli ultimi due giorni e ben quattro turni di votazione, con un duello finale fra i candidati delle due forze politiche maggiori, Tajani per il Ppe e Gianni Pittella per i Socialisti e Democratici (S&D).

Uno scontro che ha riproposto la classica (e per alcuni desueta) polarizzazione Sinistra/Destra, con S&D, sinistra radicale e Verdi, da una parte (il fronte “progressive”, in inglese), e Ppe, Liberali e Conservatori dall’altra. E, contrariamente a quanto alcuni temevano, o speravano, alla vigilia della battaglia, sono rimasti fuori dall’agone e non hanno avuto alcun ruolo i due gruppi antieuropeisti e populisti Efdd (euroscettici dell’Ukip e M5s, 42 seggi) ed Enf (estrema destra di Marine Le Pen e Matteo Salvini, 40 seggi), ancora una volta marginalizzati come è stato finora. Lo dimostra il fatto che i “voti non validi” (fra schede nulle e bianche) sono stati 80, grossomodo corrispondenti alla somma degli eurodeputati dei due gruppi. Il risultato finale mostra anche una sorprendente “fedeltà di linea” da parte dei gruppi politici, inclusi i liberaldemocratici dell’Alde (68 seggi), nonostante le giravolte che li hanno visti (dopo il disastroso tentativo della settimana scorsa di imbarcare il M5S), passare dall’alleanza prevista con i Socialisti e Democratici a sostegno di Pittella, a quella stretta all’ultimo minuto con il Ppe a sostegno di Tajani. Per il resto, nei 351 voti di Tajani ci sono, oltre a tutto il Ppe (217 seggi), compattissimo, tutti i voti dei Conservatori europei (Ecr, 74 seggi). L’Ecr, con la sua bravissima candidata sordomuta Helga Stevens, ha tenuto fino all’ultimo il candidato del Ppe sulla corda, e ha ottenuto da lui, per votarlo al quarto turno, una presa di distanza dall’accordo Ppe/Alde, giudicato troppo europeista. Tajani ha dovuto annunciare che sarà “neutrale” come presidente dell’Europarlamento, e non favorevole a un rilancio dell’integrazione europea (“sempre più Europa”) come risposta alle molte crisi in cui versa l’Ue. Questa dichiarazione è riuscita nel miracolo: farsi sostenere sia dai Liberaldemocratici ultra europeisti che dai Conservatori “euro tiepidi”, se non dichiaratamente euroscettici. E non aver bisogno, per vincere, dei voti della Le Pen (che infatti ha dichiarato di non votare per Tajani e per i suoi alleati liberali “europeisti stupidi”).

A sinistra, con sui 282 voti Gianni Pittella ha fatto il pieno dei consensi del suo gruppo S&D (189 seggi) e degli altri due del fronte “progressive”, i Verdi (51 seggi) e la Sinistra Unitaria europea (Gue, 52 seggi). Una sconfitta tutto sommato dignitosa, che non gli farà mancare il sostegno dei suoi eurodeputati, come capogruppo S&D. L’elezione è avvenuta con i bollettini segreti deposti nell’urna, e non è possibile fare analisi del voto precise al 100%. Si può presumere, ad esempio, che tra gli astenuti ci sia qualche voto liberale (i tre voti del partito olandese D66, ad esempio, “di sinistra” e poco inclini a votare Tajani), e anche qualche eurodeputato dei Verdi o del Gue (che non hanno ottenuto da Pittella l’impegno a presentare un ricorso dell’Europarlamento alla Corte di Giustizia Ue contro l’Accordo commerciale Ceta col Canada). E si può anche immaginare che, nel segreto dell’urna, qualcuno dei 15 eurodeputati del M5s abbia votato per l’uno o l’altro dei candidati italiani. Ma il dato finale è che oggi c’è un presidente dell’Europarlamento eletto da una maggioranza di centro-destra piuttosto risicata, molto diversa dalla precedente maggioranza blindata dalla “grande coalizione” di cui era garante Martin Schulz. Sul fronte opposto c’è oggi una opposizione di sinistra/verde agguerrita e pronta a dare battaglia su ogni singola decisione che dovrà essere approvata da Strasburgo, posizioni politiche o atti legislativi, approfittando del fatto che nelle votazioni ordinarie (al contrario che per l’elezione della presidenza) i voti “contro a prescindere” dell’ultradestra e degli euroscettici riducono il margine di manovra della maggioranza. Una opposizione, inoltre, che potrà facilmente sfruttare le divisioni della maggioranza, ad esempio sui temi ambientali e sui diritti, e poi fra Liberali europeisti e Conservatori “eurotimidi”, Popolari sensibili ai temi sociali e Liberali ultraliberisti. 

Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, e il suo potente capo di gabinetto, Martin Selmayr, sanno ora che non basterà più rivolgersi, con un rapporto privilegiato, al solo presidente del Parlamento europeo e ai suoi sostenitori di centro destra per garantirsi l’appoggio della maggioranza dell’Aula, com’era stato finora con la Grande Coalizione di Schulz. I numeri non sono sufficienti. Bisognerà parlare ora anche con l’opposizione di sinistra, e in particolare con il gruppo S&D. Niente è più garantito in partenza, tutto dovrà essere negoziato. Come prima della Grande Coalizione. Esattamente come voleva Pittella, che oggi, sconfitto da Tajani nella grande battaglia per la presidenza dell’Europarlamento, si prepara alla rivincita politica nell’attività quotidiana dell’Assemblea, e alla guerriglia su ogni singolo dossier. 

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