Una sanzione per chi ci ha fatto fallire

ROMA – Per discutere serenamente di questa crisi forse è necessario un atto di sincera fede. Bisogna infatti credere che questa sia una crisi, una vera normale eccezionale crisi, e non uno strumento nella guerra ad ogni forma  di stato sociale che parrebbe essere in atto da diversi anni.

E proprio per partecipare a questa discussione, si può utilizzare lo strumento della sospensione della incredulità, per i minuti che saranno necessari alla lettura di questo pezzo, crederemo alla crisi e ci concentreremo su una questione di poco differente, il parallelo tanto gradito alla nostra classe politica tra lo Stato e l’azienda da gestire saggiamente, la visione aziendalistica che è stata imposta dalla metà degli anni ‘90 dello scorso secolo in poi.

Con questa crisi infatti il nostro paese alza le braccia e consegna i libri in Tribunale, e se si tratti di fallimento o di Amministrazione Controllata, con un pò tutti gli esponenti politici d’Europa che ci dicono cosa fare, cosa dire e cosa pensare, appare certo che una classe di falliti è già pienamente identificabile.

Chi ci ha governato nel corso di questo millennio ha infatti contribuito, senza eccezioni, al nostro fallimento, e come  del resto previsto nel nostro ordinamento giuridico, come effetti giuridici della procedura fallimentare sul fallito, anche per chiunque abbia ricoperto incarichi di governo negli ultimi 5, 10 o anche 15 anni andrebbero previsti sanzioni e limitazioni.

A cominciare dalla perdita dell’elettorato passivo per un paio di lustri. In fondo ci hanno condotto in una palude di sterco e noi li priveremmo solo della possibilità di essere rieletti per una decina d’anni.

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