Crocetta e la buona politica

ROMA – La politica nazionale, anche quella della sinistra, ha avuto sempre difficoltà a interpretare la situazione siciliana. Spesso la sinistra storica ha oscillato tra un realismo consociativo e un’equazione semplificata “Sicilia=mafia”.

Palmiro Togliatti, nel dopoguerra, invece parlava giustamente della Sicilia come più di una Regione e meno di una Nazione. E’ stato uno dei pochi leader a confrontarsi col problema siciliano. Anche vent’anni fa ci fu un grande limite del PCI-PDS nel comprendere ciò che si stava muovendo, e nel dare una voce piena al grande moto popolare, profondo e diffuso, che investì il cuore della Sicilia dopo le stragi del 92.
La splendida vittoria di Rosario Crocetta, che trova le sue radici proprio in quel grande moto, e la drammatica disaffezione ai partiti, che investe anche il PD, sono i due dati evidenti di questo voto.
La vittoria di Crocetta non può essere letta -come vedo in tanti commenti nazionali in queste ore- solo alla luce di uno schema politico algido, e cioè l’alleanza tra progressisti e moderati. Dubito, per come conosco la Sicilia, che un candidato dell’UDC, o che uno del PD espressione delle sue correnti, avrebbe potuto festeggiare la vittoria.

Che un uomo che viene dalla storia del PCI e che con grande coraggio ha preso la guida della difficilissima città di Gela, combattendo corpo a corpo non la mafia delle fiction tv ma quella che ogni giorno entra nelle istituzioni, nelle imprese e condiziona la società, venga eletto direttamente Presidente della Regione Siciliana, per la prima volta nella storia di quest’istituzione, è una rottura storica. Come Crocetta ha detto, “una rivoluzione”. Non è un mistero che quattro mesi fa i gruppi dirigenti regionali e nazionali del PD non vedessero di buon occhio la sua candidatura, nata con un vero e proprio movimento di base, di molti circoli territoriali e di tanti comitati che si riconoscevano in lui.
Questa vittoria avviene, certamente, perché si è scomposto e disarticolato il vastissimo blocco sociale e politico che, dalla caduta della DC, aveva per vent’anni avuto un’egemonia sull’Isola. In questa scomposizione, frutto della crisi del berlusconismo, ha pesato anche in positivo il controverso sostegno che il PD siciliano, in una sua parte, ha dato all’ultimo Governo di Raffaele Lombardo. E’ stata un’operazione per molti versi azzardata, ma che ha accentuato la divaricazione all’interno del vecchio centro-destra. Così come è interessante, contrariamente alle previsioni che raccontavano dei rischi di un massiccio voto disgiunto fra liste e candidati a presidente, il voto dato dall’elettorato dell’UDC a Crocetta. E’ un voto che racconta come, in una parte dell’elettorato, l’UDC di oggi sia vista come una forza che, dopo anni di opposizione a Berlusconi, è un credibile alleato dei democratici e dei progressisti.
D’altra parte, alla sinistra del PD, non è stata compresa l’ostilità nei confronti di una personalità moralmente credibile come Rosario Crocetta, né una rottura a sinistra.
Ma la disaffezione ai partiti, e anche al PD è un elemento che non può essere dimenticato nell’euforia per il successo di Crocetta. Non solo perché all’Assemblea Regionale la coalizione che lo ha eletto non ha la maggioranza (e il neo-Presidente ha affrontato bene la questione, dicendo che cercherà il consenso su ogni provvedimento, altrimenti si tornerà al voto). Ma perché nell’elettorato siciliano Crocetta rappresenta circa il 15% degli elettori. L’astensionismo e il voto ai grillini segnalano la vera emergenza del Paese: la qualità della politica, oggi drammaticamente degradata. E una forza che si chiama “democratica” non può non porsi in primis questo problema. Quello che non funziona è una struttura della politica a canne d’organo, in cui ogni “potente” controlla e blocca pezzi di partito. Poco importa che chi lo fa sia un pluri-eletto o un rampante di nuova generazione.
A Crocetta e a Pierluigi Bersani si consegnano quindi due grandi questioni. La prima è la condizione sociale, soprattutto nel Mezzogiorno, spesso disperata: ricostruire fiducia e dare energia a quanto c’è di positivo, con provvedimenti anche esemplari, è essenziale. La seconda è la questione democratica, rompendo le logiche delle sudditanze e dei potentati e investendo sulla voglia di contare che, anche attraverso il voto al MCS, si è espressa domenica scorsa.

 

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