La sconfitta del “finto” nuovo

ROMA – A leggere i giornali sembra quasi che il voto di domenica sia stato un voto di restaurazione che ha impedito un più impetuoso rinnovamento.

Tutti sfuggono invece al dato  principale. Qualche milione di persone non ha ritenuto Renzi adatto  a fare il presidente del consiglio mentre invece ha pensato che Bersani lo sia. Se non si parte da qui, non si capisce quello che è successo nelle urne e negli animi di tanti nostri concittadini. Lo schema innovazione  versus conservazione è il più abusato e pigro modo di leggere le cose nella sinistra. Non si sbaglia mai. Tutto ciò che viene dal Pci e dal sindacato è conservazione, tutto ciò che rigetta quella esperienza, perché se ne è liberato con profonde abiure o perché ne è stato estraneo, è invece sinonimo di rinnovamento. La nozione di vecchio spetta a chi difende il partito radicato mentre è nuovo il partito liquido. Pecccato che in due turni elettorali il partito liquido abbia potuto esercitare il diritto al voto perché il partito solido si era ben preparato a reggere l’urto di una esperienza democratica lungamente preparata, con dedizione e sacrifici di centinaia di migliaia di persone. Anche sul piano delle culture lo schema vecchio/nuovo è abbastanza consueto. Tutto ciò che indebolisce lo stato sociale e le garanzie per i lavoratori è vecchio, tutto ciò che va in direzione del “tana, liberi tutti”, è nuovo. C’è in questa lettura delle cose una ottusità che fa paura. Serietà vorrebbe che il mondo venisse interpretato per i segnali che dà. Nel caso del Pd i segnali sono stati questi: una straordinaria partecipazione, una larga e non burocratica macchina di partito, una scelta fra il candidato più solido e quello più arrembante. Lo schema vecchio/ nuovo non regge soprattutto in rapporto alle culture politiche. Renzi ha proposto il partito a vocazione maggioritaria che non è solo il fallimento espediente con cui Veltroni cercò di sormontare una situazione difficile, ma è anche il canone più partitista che ci sia. Il tema delle coalizioni, delle alleanze prevede il pluralismo, la molteplicità di soggetti, la percezione delle differenze nella società. Lo schema a vocazione maggioritaria invece prevede che la pluralità sia condotta alla reductio ad unum. Il partito diventa sostantivo singolare che non prevede pluralità se non nella capacità del leader di essere aperto al mondo e nel rito delle primarie. La democrazia di partito come faticosa costruzione di consenso e di potenze soggettive viene invece cancellata. La rottamazione delle culture è inoltre sintomo di un atteggiamento distruttivo che impedisce di leggere l’intero Novecento. Solo le culture autoritarie hanno cercato nell’annichilimento di ciò che lo ha preceduto, magari per andare molti indietro nei secoli, la linfa per affermarsi. Il nuovismo lungi dall’essere progressivo è intimamente reazionario perché vuole cancellare la storia e non interpretarla e distillarne fino al punto da ricavarne idee per il presente. Il bagaglio di idee  nuoviste in tema di economia e di lavoro  è inoltre modernariato decrepito perché ha fatto parte delle culture degli anni Ottanta a cui molti giustamente fanno risalire i drammi attuali. Se le cose stanno così, il tema della vittoria della conservazione (Bersani) sull’ innovazione (Renzi) è non solo infondato ma non fa capire anche alle migliaia di seguaci del sindaco di Firenze le ragioni della sconfitta. C’è sempre una ragione soggettiva e culturale che spiega una sconfitta. Se Renzi non la ricerca, si perderà anche i suoi seguaci.

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