Fiat, da fabbrica Italia a fabbrica licenziamenti

ROMA – Il piano Fabbrica Italia è scomparso, se mai è esistito realmente, e con esso gli investimenti, il piano industriale, l’occupazione, il salario e le promesse di una vita in fabbrica meno pesante. La realtà è sotto gli occhi di tutti: Fiat chiude Termini Imerese, la Irisbus della Valle Ufita, e la Cnh di Imola.

La Cassa integrazione aumenta, alternandosi ad un aumento dei ritmi di lavoro, al comando della prestazione senza nessuna negoziazione, a un aumento dell’insicurezza sul posto di lavoro, e alla cancellazione della democrazia. Il Contratto Collettivo Specifico di Lavoro, che dicevano essere un’eccezione per Pomigliano, è diventato il contratto di tutti i lavoratori del Gruppo.
Oggi, a meno di tre anni dall’intesa di Pomigliano, 1.400 sono i lavoratori in Cassa integrazione a zero ore dello stabilimento Giambattista Vico a cui si aggiungono i circa 800 della Magneti Marelli di Napoli. Per circa 2.200 lavoratori gli ammortizzatori sociali scadranno a luglio e per loro si concretizza il rischio concreto del licenziamento, visto che nel verbale firmato dalla Direzione aziendale, e da Fim, Uilm, Fismic e Uglm, sulla illegittima procedura di mobilità per 19 lavoratori si scrive: “le OO.SS. e le RSA,  in questa fase temporale in base agli attuali livelli produttivi, riconoscono l’oggettiva sussistenza delle eccedenze; e ancora: “ in questo contesto di grave calo del mercato è emersa l’obiettiva impossibilità di ulteriori incrementi di organico di Fabbrica Italia Pomigliano.

Le parole “obiettiva” e “oggettiva” sono state usate nel testo dalle organizzazioni sindacali complici per liberare la Fiat da ogni responsabilità sui futuri esuberi a Pomigliano, ma anche negli altri stabilimenti. Cosa accadrà a Melfi dove è stato comunicato l’inizio di 24 mesi di Cassa integrazione, a Mirafiori, a Cassino, a Modena e a tutti gli stabilimenti che producono cambi e motori come Termoli, Avellino o Foggia? E agli stabilimenti Marelli, a tutto l’indotto e alla componentistica?
Le organizzazioni sindacali aderenti al CCSL stanno cancellando la possibilità di aprire un tavolo nazionale che ritorni ad occuparsi del futuro industriale e dei prodotto e stanno aprendo la strada ai licenziamenti di massa.

Infine, la Fiat ha deciso che non ci sarà il rinnovo del Ccsl, ma un ‘accordo ponte’ che, di deroga in deroga, programma la riduzione dei minimi salariali (che incidono su indennità, straordinari, ferie, permessi, Tfr, ecc.) in quanto, a quello che si legge, sparirebbero gli aumenti sui mini contrattuali sostituiti da un premio di qualche decina di euro lordi, calcolato sulla base della presenza. In questo modo si sta istituendo un vero e proprio salario individuale differenziato da persona a persona.
Abbiamo ascoltato il Presidente Monti sostenere la posizione della Fiat a Melfi e, a poche settimane di distanza, assistiamo ad un ridimensionamento produttivo del Gruppo.
 Aderire alle posizioni della Fiat determina solo la cancellazione dei diritti e dei posti di lavoro. Per questa ragione è urgente che il presidente del Consiglio convochi un tavolo negoziale nazionale e che le forze politiche candidate al Governo del Paese dicano quali sono le iniziative che prenderanno per la tutela dell’occupazione e per il futuro industriale dell’automotive in Italia, a partire dalla Fiat.

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