Il Berlusconi eversivo a reti unificate

ROMA – Sono le 22.30 di un’altra giornata da ricordare in questo tormentatissimo 2013. La condanna di Silvio Berlusconi, definitiva, a quattro anni per frode fiscale è stata sancita da più di due ore dalla Corte di Cassazione.

La notizia rimbalza su tutti gli organi di stampa del mondo e conquista le prime pagine dei giornali e dei telegiornali. La felicità dei conduttori dei talk show è palpabile, perchè, comunque la si pensi, l’audience è assicurata. I social network impazziscono e sembrano un gigantesco stadio nel quale le due tifoserie si combattono tra colpevolisti e innocentisti, tra cosiddetti giustizialisti e cosiddetti garantisti, tra berlusconiani e antiberlusconiani. La storia sembra tornare indietro, al 1994, alla cosidetta “discesa in campo” di Silvio Berlusconi.

Diciamo la verità, alcuni di noi questo scenario, lo avevano ampiamente previsto. Così come si poteva prevedere lo scenario opposto nel caso di assoluzione. La questione politica sul tappeto, e lo sapevamo tutti, era ed è relativa alla durata del governo Letta e alla tenuta della coalizione di larghe intese, proprio in caso di condanna confermata. 

E tuttavia, alle 22.30 di giovedì primo agosto è accaduto ciò che davvero non ti aspetti. La mossa furba, indecente, priva di scrupoli, che improvvisamente ha la capacità di spostare l’attenzione dei media: dalla condanna, e dunque, dallo status di pregiudicato di Berlusconi, alla “violenza della magistratura” contro di lui, e alla chiamata alle armi del popolo berlusconiano nei confronti di una parte della magistratura “non eletta” dal popolo. Alle 22.30 di giovedì primo agosto, Silvio Berlusconi mette letteralmente in scena, con un video messaggio passato a reti unificate, il suo personale psicodramma. Uno psicodramma del tutto eversivo, falso nella ricostruzione storica, enfatico nella rappresentazione dell’uomo che si è fatto da sé. Lo psicodramma blandisce i fans, li accarezza mediaticamente, finalmente li fa sentire popolo di oppressi perchè oppresso è il capo. Lo psicodramma reinventa e rilancia il nemico sempre combattuto e mai del tutto abbattuto: i comunisti, che si annidano nella politica, nella magistratura, nelle scuole e nelle università. Quei comunisti ammazzabambini e ammazzademocrazia che solo il capo ha saputo affrontare e sconfiggere. E non solo. 

La riscrittura degli anni di Tangentopoli, ha la forza emotiva dell’atto d’accusa contro la magistratura colpevole di aver spazzato via i cinque partiti (il Pentapartito) che avevano fondato la democrazia repubblicana. Serve a sostituire la memoria storica con la verità del capo: gli altri spazzati via, i comunisti in sella e probabili vincitori delle elezioni del 1994. Qui lo psicodramma diventa epopea di sé stesso, canto notturno del capo sconfitto che chiama attorno a sé i figli e rimedia ai propri errori reinventando la storia, ovvero narrando un’altra favola. Il capo sconfitto può dire quello che vuole si suoi figli, può rivolgere parole eversive e sovversive, può chiamare a raccolta il suo popolo giurando e pregustando l’ora della rivincita e della vittoria.

In nove minuti di messaggio audiovideo (anche questa tecnica riporta indietro l’orologio della storia alle videocassette del 1994), Silvio Berlusconi, con voce teatralmente spesso rotta, alternando pause studiate ai climax ascensionali del racconto, rilancia l’immagine consunta, desueta, della vittima tra le vittime, del vendicatore degli oppressi, del sostenitore dei liberi, e furbi, cittadini che evadono le tasse, e non solo per necessità. Antropologicamente, il suo nemico non è cambiato: politici comunisti, magistrati comunisti, agenti delle tasse comunisti, guardie di finanza comunisti, giornalisti comunisti (memorabile il passaggio in cui accusa la stampa di aver scritto menzogne sulla causa che l’ha portato alla condanna, in particolare sulla creazione di fondi neri). Di nuovo, la ripetizione e il rilancio della guerra civile. Tutto ciò è eversivo, antidemocratico, irritante. Ma anche, per chi ancora non ne fosse convinto, la spinta a dividere l’Italia come una mela: di qua i berlusconiani, di là gli antiberlusconiani.

Facciamo in modo che questo subdolo tentativo di ripescare metodi e temi di un’epoca remota non abbia successo.

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