A Gianni Cuperlo, lettera aperta di un militante di sinistra

ROMA – Caro Gianni, ho la fortuna e l’onore di averti conosciuto molti anni fa, quando tu eri segretario dell’ultima fase della Fgci e io giovane segretario di sezione del Pci, impegnati entrambi nel Referendum vinto contro il nucleare, all’indomani dell’incidente di Chernobyl. Pochi anni dopo ci siamo incontrati nuovamente nel Movimento per la pace, a Roma, durante la Perugia-Assisi, in Puglia.

E ancora, ci siamo ritrovati nel Pds, quando eri nello staff del segretario D’Alema, e io collaboravo al sesto piano di Botteghe oscure con Vincenzo Vita, al dipartimento Informazione. E infine, le nostre vite si sono nuovamente intrecciate nel 2004, quando organizzammo, insieme a quella straordinaria persona che è Lino Paganelli, la Festa nazionale dell’Unità di Genova, dopo quindici anni di permanenza in Emilia. Il Referendum antinucleare, la lotta per la pace, la libertà dell’informazione, le feste: non sono episodi che ho scelto a caso. Sono quelle vicende che segnano il “mondo della vita” politico di qualunque militante della Sinistra, sono le palestre autentiche in cui ci si addestra a vivere in una comunità politica, sono le prove che la vita offre quando dinanzi a te c’è un partito che si scopre dotato di “anima”. E infine, sono la testimonianza di storie vissute e di memorie condivise, non solo da noi due, ma da milioni di militanti, che hanno investito tempo, passione, intelligenza.

Storia e memoria da custodire gelosamente

Questa è la storia, di Sinistra, dalla quale proveniamo, e questa è la memoria che, secondo me, dovremmo custodire gelosamente, perché è memoria collettiva, è ciò che resta di un popolo e in un popolo, soprattutto quando la “tirannia del tempo” (una sorta di Zeitgeist hegeliano) convince i più che la sconfitta è irreversibile, che le idee della nostra gioventù, e i nomi che abbiamo loro attribuito per anni, sono sepolti sotto la fuliggine della modernità veloce e dirompente. Ciò che credevamo allora può davvero considerarsi cancellato con un colpo di spugna solo perché chi vince vorrebbe anche convincerci, demagogicamente, che “la sinistra che non cambia è di destra”? O che, appunto, la modernità è passo veloce verso un “non si sa dove” perché non esiste progetto, non esiste orizzonte, perché scompare la passione, e invece avanza un partito forse vincente, ma privo di anima, e di popolo? O che, infine, vorrebbe farci credere – immer wieder, sempre di nuovo – che anagraficamente “giovane” è una categoria della politica?

Un partito che ritrovi  “l’anima perduta” e il “tempo perduto”

Abbiamo sostenuto insieme con te una battaglia congressuale, con al centro il tuo documento politico, e, a partire da quel documento, abbiamo creduto alla fondazione di un partito che ritrovasse “l’anima perduta”, e con essa, “il tempo perduto”, la memoria proustiana di ciò che siamo stati, con milioni di italiani. Io non sono affatto pentito, caro Gianni, della mia storia politica, né mi sento un “reduce” (categoria impolitica che molti usano impropriamente) se affermo, sempre di nuovo, le ragioni di quella storia, che ancora adesso riesce a offrire analisi dell’epoca moderna affatto marginali. Inutile citare qui i grandi pensatori attuali della critica alla modernità. Mi limito solo ad affermare che abbiamo avuto maestri comuni, nel Pci, – alcuni dei quali fortunatamente ancora in vita – dai quali abbiamo appreso quella lezione di analisi critica molto tempo prima che le opere dei “grandi pensatori” diventassero best seller.

Falsa e ipocrita tendenza giovanilista

È intollerabile che, senza alcun rispetto, essi siano messi ai margini del partito “che c’è” solo per quella presunta e falsa e ipocrita tendenza giovanilista, per la quale il segno del cambiamento è innanzitutto l’età e la storia. La contrapposizione vecchi-giovani è una pericolosa finzione in una comunità politica, che, come avrebbe detto Carl Schmitt, “nasconde in realtà solo bramosia di potere senza intelligenza politica”. Nel Partito democratico siamo a questo punto, purtroppo. E la mia, è una delusione condivisa da molti.

Ho riflettuto molto, e ho pertanto deciso di lasciare questo partito al suo destino, alle sue mattanze, alle intemperanze dei giovani dirigenti, alle sue tendenze consapevolmente “post-ideologiche”, dove il post segnala l’assenza di un pensiero politico strutturato e l’adesione civettuola alla moderna tendenza alla fedeltà senza spirito critico.

 La deriva cui si sta dirigendo il Partito democratico

Trovo difficile, estremamente arduo, conciliare la costruzione del pensiero critico di Sinistra con la deriva cui sta inevitabilmente dirigendosi il Partito Democratico.

Abbiamo bisogno di ponti intellettuali e di poeti. “Nell’epoca della povertà”, come direbbe Holderlin, essi solo potranno trovare le orecchie giuste. Solo allora, finalmente, la politica potrà ritrovare parte del suo senso perduto.

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