25 Aprile, non smarriamo mai la memoria

ROMA – Sono passati 69 anni da quel 25 aprile del 1945 in cui finalmente l’Italia soggiogata dal nazifascismo riuscì a trovare la sua Liberazione. Dopo tutto questo tempo, il rischio che corriamo, come Paese, come cittadini, è lo smarrimento della memoria e la fatale, drammatica, espulsione dal nostro vocabolario politico di parole importanti e decisive, anche per la definizione del tempo presente.

Molti fattori concorrono a rendere concreto questo rischio: l’inevitabile perdita dei testimoni diretti di quei giorni; il fatale declassamento del 25 aprile a “gita fuori porta”, soprattutto per certa opinione pubblica e purtroppo anche per le giovani generazioni; l’intensa campagna ideologica di un ampio schieramento di “intellettuali” berlusconiani, che con successo, in questi ultimi vent’anni, ha “sdoganato” nipoti e pronipoti di Mussolini “il duce” (come avrebbe detto lo storico Renzo De Felice).

Così accade oggi che il 25 aprile 2014, festa laica di Liberazione, per ironia della sorte, è schiacciato tra due fondamentali celebrazioni religiose: la Pasqua cristiana, festa religiosa di Resurrezione (anch’essa a suo modo una Liberazione) e la canonizzazione di due Papi a Roma, la cui eco sarà planetaria, ovviamente. Ed ecco che nell’epoca della “secolarizzazione consumistica”, come avrebbe detto Bauman, l’origine di certe date laiche, ma anche religiose, scompare, per far posto ad un altro rito collettivo, quello della “vacanza consumata”. E che in questa analisi vi sia una certa dose di ragione, lo dimostrano i tanti notiziari televisivi, che stancamente mandano in onda trenta secondi di immagini relative all’evento del 25 aprile, senza spiegare alcunchè, mentre lunghissimi sono i servizi dagli aeroporti, con gente che viene e che va, dai luoghi rivieraschi, dove la notizia è il primo bagno stagionale, dalle città d’arte.

L’oblio nelle logiche del consumismo 

E ancora una volta, sul lessico democratico, prevale la contabilità econometrica: quanto hanno speso gli italiani per questo lungo ponte? D’altronde, non si sono ridotte così anche importanti feste religiose? Curiosamente, a proposito dello smarrimento della memoria delle origini delle parole, feste laiche e feste religiose pare che condividano il medesimo destino: l’oblio per effetto delle logiche del consumo. E se nel tempo religioso della Pasqua, la parola smarrita è Resurrezione, a tal punto che non la sentirete citare neppure dai sacerdoti (papa Francesco è stato costretto a citarla 18 volte ieri), nella tradizione laica del 25 aprile, la parola smarrita è: Antifascismo.

Tra decine e decine di manifesti che annunciano le celebrazioni del 25 aprile ovunque in Italia, e che compaiono in Rete (dunque, una sorta di sondaggio empirico molto relativo), ne ho trovato solo uno, quello della Cgil di Bergamo, che cita esplicitamente “gli antifascisti di oggi”. Molti altri parlano giustamente di “Resistenza”.

Renzi,Pd e Sel. Delusione enorme

Tutti hanno i colori della bandiera nazionale. Ho visto anche i siti dei partiti di Centrosinistra, Pd e Sel: delusione enorme, nessuna bandiera, nessun banner, nemmeno piccino, nemmeno una notizia. Forse hanno scelto la strada dei manifesti reali, mi sono detto, quelli che si vedono per strada. Almeno a Roma, quelli che ho visto sono i manifesti dell’ANPI e del Comune. Dei partiti tradizionalmente antifascisti, nessun segno. Eppure sappiamo che il segretario del Pd non è in vacanza, che governa, che pensa al benessere degli italiani, che corre. Eppure, evidentemente, la questione dell’antifascismo pare superata anche secondo lui e i suoi dirigenti.

Antifascista, un valore storico e politico

Emerge infatti l’errata convinzione che se non esiste più il pericolo fascista, non ha più senso essere antifascisti. Eppure, antifascista è parola che ha un valore storico e politico che prescinde dai fatti storici dai quali essa è nata, dalla guerra civile scoppiata in Italia dopo l’8 settembre del 1943. Ha un valore “preventivo”, dinanzi a qualunque rischio di deriva neoautoritaria e neototalitaria. Se la guerra civile dell’Italia tra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945, e se la parola antifascismo non s’insegna nelle scuole superiori, o nelle università, o in tv, come potranno, le nuove generazioni, segnalare un pericolo fascista o autoritario? Il termine Antifascismo resta uno degli ancoraggi semantici e concreti, dagli effetti anche giuridici, della nostra democrazia, e della nostra Costituzione. Dimenticarsene è un delitto, contro la memoria, contro il presente, contro le nuove generazioni.

E la gente si mise a cantare

Concludo con uno splendido passo tratto dal volume di Alfredo Reichlin, Il midollo del leone, pubblicato nel 2010.

“Arrivò il giorno della liberazione… Il giorno dopo si creò in me, di colpo, un grande vuoto. Non sapevo più chi ero… Qualcuno del Partito invitò i gappisti a riunirsi insieme per guardarsi in faccia. Infatti non ci conoscevamo. Per mesi avevamo combattuto divisi rigidamente in cellule di tre… Ci incontrammo… ci abbracciammo, e a un certo punto il padre di uno di noi, un vecchio socialista perseguitato dal fascismo si mise al pianoforte e con la faccia contratta per la commozione cominciò a suonare una musica solenne, che io non avevo sentito mai. Era l’Internazionale. Mi sembrò bellissima, e all’improvviso dalle finestre degli altri appartamenti che davano sul cortile si affacciò la gente e si mise a cantare”.

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