Poletti, il ministro del Lavoro, in quale Paese è vissuto?

ROMA – Ma il ministro  Giuliano Poletti in che paese è vissuto? Dice che “la concertazione è stato solo un modo per stare attorno a un grande tavolo facendo pagare il conto agli italiani”. Non la pensava così quando era un dirigente al massimo livello, quello di presidente di Legacoop. Forse i tavoli cui ha partecipato non erano quelli della concertazione così come era nata, ma quelli organizzati da Berlusconi e da ministri come Sacconi e Brunetta.

 Tutti intorno a un tavolo, Confindustria, sindacati, associazioni di imprese, gli artigiani, le coop appunto. I ministri berlusconiani illustravano e tutto finiva lì. Non molto dissimili i ministri del governo Monti. Niente a che vedere con la concertazione che richiamava il ruolo sociale dell’impresa, così come in Costituzione la funzione essenziale delle parti sociali nel rapporto con il governo, con il Parlamento, con e le forze politiche. Gli risponde Susanna  Camusso che trova le affermazioni del ministri “molto discutibili e in qualche caso ingenerose. E’ come se si stesse affermando che in tutti questi anni il potere politico, il Parlamento, i governi non abbiano mai preso nessuna decisione”.  Aggiungiamo noi che ne hanno prese mettendo ai margini fra l’altro la Cgil e che di guai ne hanno combinati tanti. L’Istat  ci dice che sono quasi sette milioni  le persone che vorrebbero lavorare e non trovano nessuna occupazione. Ai 3 milioni e mezzo di disoccupati se ne vanno ad aggiungere 3.381 mila di inattivi. Nove mesi fa il totale   era di sei milioni, un milione in meno. La concertazione non può essere chiamata  in causa. Non c’è proprio.

Ci sarebbero anche altre affermazioni del ministro fra cui quella relativa alla legge sul lavoro, contratti a termine per tre anni, che a dire di Poletti sarebbe  una legge di sinistra , anzi “sinistrissima “Non è il caso di infierire, siamo generosi,  così come lo è stata Susanna Camusso. Una sciocchezza può capitare a tutti.

Tutti i nostri guai sarebbero dovuti alla concertazione 

 

Ciò che invece  non si può sopportare   è l’accusa di danni  che la concertazione avrebbe provocato al Paese  che il ministro del Lavoro ci propina in continuazione.  A un rappresentante così autorevole del governo non è consentito perdere la memoria, ignorare la storia politica, economica e sociale di questo paese di cui lui stesso è stato protagonista. Sarà bene allora rinfrescare la memoria a tutti coloro che si dilettano al tiro al bersaglio contro una fase straordinariamente importante,  quella della concertazione appunto. Il termine non a caso è mutuato dalla musica . Lo si ricorda come una pratica di governo e di gestione delle relazioni industriali che si fondava sul confronto e la partecipazione alle decisioni politiche ed alla contrattazione in forma triangolare, organizzazioni sindacali, organizzazioni degli imprenditori, autorità istituzionali, il governo a livello centrale. Mercato del lavoro, salari, contrattazione collettiva, grandi scelte di politica fiscale, finanza pubblica, politica economica.

Grandi sostenitori Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi

Non un patto corporativo e neppure una alleanza fra le parti sociali ma un sistema di consultazione e decisioni comuni se possibili nella piena autonomia dei diversi soggetti e quindi anche dei governi, dei sindacati. Un modello che nel nostro Paese si afferma in particolare negli anni novanta, dopo gli accordi interconfederali del 1993. Grandi sostenitori furono Carlo Azeglio Ciampi e poi  Romano Prodi. E’pressoché unanime la valutazione di storici ed economisti, anche di chi questo processo contrastò nello stesso movimento sindacale e nella sinistra, relativa al fatto che  la concertazione contribuì in modo determinante al risanamento dell’economia nazionale. La politica dei redditi, figlia della concertazione, consentì di abbattere il tasso di inflazione e, in modo indiretto, i tassi di interesse. Modelli  simili esistono praticamente in quasi tutti i paesi industrializzati.

Così si salvò l’Italia dalla catastrofe. Il ruolo delle forze sociali

 

Poletti non può non conoscere questa storia del nostro Paese, che  venne salvato  da un dissesto non solo annunciato grazie al senso di responsabilità dei sindacati, ai sacrifici dei lavoratori. E’ figlia di un’epoca la concertazione, con il berlusconismo  rimase solo la parola. Ma i contenuti, i principi, restano validi, la democrazia rappresentativa  ha bisogno del rapporto fra i governi, il Parlamento, i partiti,le forze cosiddette intermedie, in particolare  le grandi organizzazioni che rappresentano , milioni di lavoratori , di pensionati, il mondo imprenditoriale. Altrimenti il rischio è che la democrazia perda i connotati di fondo. In un pericoloso crescendo nel nostro Paese si emarginano  le forze sociali, le forze politiche che ci hanno pensato per proprio conto a perdere un rapporto di fiducia da parte dei cittadini, lo stesso Parlamento chiamato solo ad approvare con voti di fiducia ciò che il governo decide. Alle elezioni europee il Pd ha vinto con il 41%. Ma questo successo, importante per la tenuta della nostra società democratica, non ci può far dimenticare che non ha votato circa il 40% degli italiani e che,di  quel sessanta per cento o poco meno che è andato alle urne il 20%  ha scelto   un movimento come quello di Grillo e Casaleggio,in procinto di allearsi  con Nigel Farage, leader dell’Ukip accusato di razzismo   e che altri numeri sparsi, fra cui quelli della  Lega , circa il 10%  non sono certo arrivati a partiti e movimenti  campioni di democrazia.

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