A che serve l’Expo?

ROMA – Il mondo è, con qualche probabilità, non lontano dalla possibilità di una terza guerra mondiale e noi che abbiamo già da anni truppe in Afghanistan con la Nato E potremmo averne presto altre in Libia con le Nazioni Unite.

La crisi economica e finanziaria non ha lasciato l’intera Europa e parti notevoli dell’Occidente. In questo contesto, noi che ce la passiamo meno bene dei tedeschi e dei francesi ma anche degli inglesi, celebriamo il cibo con l’Expo aperto a Milano che ha già realizzato una vendita di undici milioni di biglietti dopo i primi tre giorni che, con la benedizione delle grandi multinazionali dell’alimentazione, del fast food, dalla Coca Cola a Mc Donald per non parlare persino di Slow Food che è stato per decenni il simbolo della semplicità del mondo contadino. E poi ci si stupisce se ci sono contestazioni persino violente (e questo è sempre male, a mio avviso) della medesima EXPO da tutta Europa e all’inaugurazione della nuova cattedrale della finanza europea che è rappresentata a Francoforte dalla Banca Centrale Europea. E questo avviene mentre per l’austerità ai pensionati europei sono state ridotte-a volta in maniera illegittima-le pensioni e i giovani di tutto il vecchio continente sono destinati a una vita magra da precari.

A questo punto è il caso di farsi qualche domanda e sulla stampa italiana l’unica a porsele qualche ora prima di me è stata Loretta Napoleoni, un’economista che ha la testa sulle spalle a differenza di molti giornalisti ben pagati del nostro Bel Paese.

Il primo interrogativo è elementare. A che serve l’EXPO come concetto di scoperta e scambio di innovazioni tra i popoli in un mondo in cui non esistono più misteri culinari e dove la cucina contemporanea ha portato in tutto il mondo cibi e spezie occidentali e viceversa quelle che vengono dall’Oriente. Il secondo è altrettanto elementare. Quante persone avrebbero potuto sfamarsi con i soldi spesi per l’esposizione dei prodotti legati alla gastronomia come quelli esposti e venduti a Milano? E oggi l’Italia e Milano avrebbero potuto usarli nel Nepal semidistrutto per sfamare milioni di persone. E non c’è dubbio che con l’indotto proprio Milano e l’Italia ricaveranno vantaggi dai sei mesi dell’esposizione universale appena iniziata.
Ma è questo l’unico aspetto concretamente misurabile della grande esposizione universale? E non c’è dubbio sul fatto che la riflessione sul cibo nel ventunesimo secolo sia un’operazione interessante e proficua per i contemporanei ma da questo a considerare l’EXPO come una risposta ai problemi del mondo contemporaneo o un aiuto ad altri che non siano le imprese italiane interessate e di riflesso una parte della nostra economia, ebbene questo sembra eccessivo e fuori luogo.

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