Partito democratico. Cara minoranza dem, ora o mai più

ROMA – Cosa dire di questa Direzione del PD? Da che parte cominciare a raccontarla?

Più che un giornalista, ci vorrebbe Orwell per descrivere il caleidoscopio di sguardi, parole, sentimenti e riflessioni che abbiamo ascoltato nella lunga notte del Nazareno, con un Renzi animato dal consueto cipiglio e per nulla disposto a compiere effettive aperture sulle questioni di cui si discuterà nei prossimi mesi: dalla scuola alla riforma del Senato, per non parlare poi della riforma della Pubblica Amministrazione per la quale i sindacati sono già, coralmente, sul piede di guerra.

Cosa dire, dunque, dei tanti volti a me noti, e in alcuni casi anche cari, che si sono succeduti su quel palco, in una sala che conosco bene e nella quale ho trascorso ore importanti della mia vita e della mia attività politica? Per onestà intellettuale e professionale, bisogna essere sinceri, pertanto dirò quel che penso.

Penso che questa notte il PD sia definitivamente scomparso per lasciare spazio non al Partito della Nazione ma a un soggetto dai contorni indistinti: una sorta di animale mitologico, metà destra e metà sinistra, senza una linea chiara, senza una direzione di marcia, senza una sola idea per la quale valga ancora la pena recarsi alle urne a sostenere i suoi candidati, per quanto là in mezzo ci siano tuttora tante persone colte, capaci e di grandissimo valore.

Andrea Ranieri, per dire, ha annunciato pubblicamente il suo addio, Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre sono con un piede sull’uscio, Gianni Cuperlo è andato giù durissimo, Barbara Pollastrini si è interrogata; per il resto tanti, troppi silenzi che non possono che far male a chi ha amato e condiviso quella storia.

E allora la riflessione si impone nella sua tragicità: cara minoranza dem, qui siamo di fronte a una mutazione genetica irreversibile di un partito nel quale tutti noi abbiamo creduto, nel quale tutti noi abbiamo sperato, che tutti noi abbiamo considerato lo strumento adatto per provare a cambiare e rendere migliore questo Paese ma quel partito ormai non esiste più. Il PD che noi conoscevamo e al quale volevamo bene è scoppiato la notte del 25 febbraio 2013, si è dissolto il 19 aprile dello stesso anno in seguito alla barbarie dei centouno e ha cambiato radicalmente pelle nell’ultimo anno e mezzo, affidandosi a un giovane dinamico e scattante la cui visione del mondo non ha, però, nulla a che spartire con una qualunque idea di sinistra.

Al che, personalmente, mi rivolgo ad alcuni fra gli esponenti che so essere maggiormente in imbarazzo: Bersani, Fassina, D’Attorre, Cuperlo, Gotor, Bindi, Letta e altri, a mio giudizio, devono rendersi conto che in quel partito ormai non c’è più spazio per alcun confronto, che non ha più alcun senso una discussione sterile e dall’esito scontato e che rimanere aggrappati a uno scoglio che sta franando inesorabilmente in mare significa smarrire quel residuo di credibilità di cui ancora, per meriti antichi e durevoli, godono.

Non solo: dovrebbero capire, loro e anche altre persone che non ho citato ma considero comunque meritevoli di stima, che da sola la Coalizione Sociale di Landini e Rodotà non può farcela, così come non può farcela il neo-nato partito di Civati. Al tempo stesso, gli stellini dovrebbero capire che quest’isolazionismo duropurista e chiuso a qualunque logica di alleanza rischia di farli apparire inconcludenti agli occhi di un’opinione pubblica già di per sé disorientata e vittima di un’informazione che, complessivamente, gioca ancora tutta dalla parte del Presidente del Consiglio.

Tornando alla minoranza del PD, invece, continuare a difendere gli “ideali della gioventù” e poi votare il Jobs Act, astenersi ad ogni provvedimento, uscire dall’Aula, gridare in Direzione o sui giornali e infine fermarsi, rimanendo comunque all’interno, trasmette l’immagine davvero triste e indifendibile di una serie di poltronisti che antepongono la propria carriera e i propri emolumenti al bene del Paese. Un’immagine falsa e ingiusta, immeritata e inaccettabile, ma solo per chi vi conosce da vicino e sa quale sia il vostro travaglio nel vivere questa fase di sconvolgimento collettivo. Un’immagine che, purtroppo, si staglia nitida davanti agli occhi di chi non ce la fa più, degli insegnanti che, a causa della Pessima scuola del duo Renzi-Giannini, vedono il proprio futuro divenire sempre più precario, davanti ai giovani disoccupati o a chi un lavoro ha smesso pure di cercarlo, al cospetto della disperazione di chi non crede più in niente e in nessuno e si sente abbandonato al proprio destino.

Allo stesso modo, è amara l’immagine di un movimento che avrebbe tutte le capacità per provare a governare e cambiare questo Paese ma non le sfrutta a dovere, chiudendosi a ogni logica di alleanza, di mediazione, di confronto, a quella fatica della politica che sola può provare a mutare il corso della storia, soprattutto quando il destino sembra essere segnato e gli eventi paiono scorrere in un’unica, dannata direzione.

È infatti assurdo, per quelli come me, leggere dichiarazioni pressoché identiche e non vedere poi in Aula una battaglia comune; è assurdo pensare che in Sicilia attivisti e militanti del fu PD non diano manforte ai candidati stellini quando il nostro ex partito non fa altro che stipulare alleanze col Nuovo Centro Destra e con il peggio del peggio delle passate gestioni di quell’isola; ed è assurdo pensare che Felice Casson potrebbe correre dei rischi a Venezia quando il suo programma è in tutto e per tutto compatibile con la cultura ambientalista, dell’onestà, della legalità, della trasparenza e volta alla tutela del paesaggio e del territorio del Movimento 5 Stelle.

Infine, sarebbe semplicemente folle (e mi auguro di cuore che non accada) se Possibile non si ponesse come primo, ambizioso obiettivo quello di creare un ponte fra questi due mondi, contribuendo al dialogo e al confronto proficuo fra culture politiche che finora si sono temute, evitate, che hanno rifiutato reciprocamente di capirsi, commettendo entrambe una serie di errori grazie ai quali ci ritroviamo oggi nelle condizioni che tutti siamo costretti a patire.

In poche parole, ormai è chiaro a tutti che PD, SEL e l’intero mondo che abbiamo conosciuto e anche apprezzato fino alla primavera del 2013 appartengono al passato, che a sinistra bisogna ricostruire ogni cosa e rifondare un soggetto politico unitario e credibile, aperto al dialogo con chi non ha intenzione di trasformarsi in un partito ma potrebbe comunque rivelarsi un alleato prezioso per portare avanti un progetto di cambiamento non più rinviabile. 

Perché il rischio, atroce e reale, è che la politica tutta, senza esclusione alcuna, finisca col non rappresentare che se stessa, così fragile da essere risucchiata nel gorgo del disagio, della solitudine, della rabbia e, ovviamente, comprensibilmente, della furia di chi non ne può più e si sente vittima di una terribile ingiustizia. E allora gli schizzinosi, i puristi, i velleitari intrisi di mille pregiudizi privi di senso e tutti coloro che oggi ci narrano le “magnifiche sorti e progressive” delle rispettive urla solitarie, siano esse partitiche o movimentiste, dovranno fare i conti con un baratro che, bene che vada, si chiamerà astensione di massa. Se dovesse andar male, invece, potremmo assistere a una guerra fratricida fra poveri ed esclusi, dalla quale non si salverebbe proprio nessuno.

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