Il M5S tra opposizione e governo

ROMA – Per il M5S si sta avvicinando il momento della verità: il momento in cui capiremo, e probabilmente capiranno per primi loro stessi, cosa vogliano essere e, soprattutto, se vogliano essere qualcosa e se abbiano serie intenzioni di governare il Paese o preferiscano abbandonarsi allo sterile “tuttacasismo” delle origini.

Osservando le candidature che hanno messo in gioco in vista delle prossime Amministrative, possiamo dire che son valide entrambe le scuole di pensiero.
Se li guardiamo da Torino, nella città dell’antica aristocrazia sabauda, delle due case reali (i Savoia e, per quanto non ufficiali, gli Agnelli), del Gianduiotto, della fu FIAT (oggi si chiama FCA) e delle nuove, drammatiche povertà dei quartieri operai senza fabbriche e senza indotto, a Torino senz’altro i 5 Stelle si candidano a governare. Il loro volto, infatti, è incarnato dalla giovane Chiara Appendino, trentun anni, neo-mamma della piccola Sara, laureata in Bocconi e con varie esperienze professionali di un certo livello alle spalle: un profilo che coniuga alla perfezione movimentismo e cultura di governo, protesta e proposta, palazzo e piazza, capacità di farsi apprezzare dalla borghesia riluttante e dalla “maggioranza silenziosa” di nixoniana memoria e di venire incontro ai drammi e alle sofferenze dei più deboli. Una candidatura di tutto rispetto, innervata dalla saggezza di una ragazza che non è meno stellina dei suoi colleghi (ho avuto modo di confrontarmi con lei e posso assicurarvi che la battuta “non sembra neanche grillina!” è offensiva e fuorviante), solo che ha capito perfettamente, anche se non lo dirà mai, che per vincere dovrà essere la candidata anche di quell’ampia parte del mondo della sinistra che non intende nella maniera più assoluta accordare fiducia e consenso al Partito della Nazione che Renzi vorrebbe tenere a battesimo già a giugno, in vista del referendum d’autunno e, con ogni probabilità, delle Politiche del prossimo anno.

Non so se la Appendino sia di destra o di sinistra (a naso è un’esponente di quella sinistra liberale che a Torino abbiamo sempre identificato con il pensiero di Gobetti, con la casa editrice Einaudi dei bei tempi che furono e con quella che fu definita la “gioventù del D’Azeglio o del Gioberti”, ad indicare una classe dirigente già allora moderna e di ampie vedute), non so se si definisca post-ideologica o se creda che abbia ancora senso un dibattito fra ideologie e visioni differenti aggiornate ai problemi e alle esigenze del Ventunesimo secolo (lo spero): so che crede molto nel progetto del Movimento 5 Stelle, che vi si è avvicinata diversi anni fa e che è rimasta coerente con le sue idee ma, al tempo stesso, ha capito anche di dover diventare la candidata di un mondo assai più vasto di quello con cui è abituata a confrontarsi di solito. Ha capito, in poche parole, di dover diventare la bandiera, il simbolo e il motore del cambiamento anche di quelli come me, apolidi della sinistra, che non hanno intenzione di abiurare alla propria storia o di accantonarla del tutto ma nemmeno di vivere in un costante stato di minorità che non fa altro che agevolare il progetto del premier di dar vita al Partito della Nazione. Ha capito che la sua unica possibilità, oltre ad arrivare al ballottaggio, è quella di diventare la candidata di un’intera città e non solo di una parte politica. Ha capito che, tanto a Torino quanto a livello nazionale, occorre una sorta di Coalizione civica in grado di incanalare, accogliere e valorizzare le energie e le risorse migliori: il progetto di Berlinguer trasposto nel nuovo secolo, il pensiero liberale piemontese calato in un mondo globale, il connubio fra la lotta contro tutte le disuguaglianze e la promozione dei capaci e meritevoli, la costruzione di una proposta politica di ampio respiro che ci auguriamo varchi presto i confini del Piemonte e divenga il propulsore di questa strana compagine anche nel resto del Paese.
A Milano come a Roma, infatti, purtroppo le cose vanno diversamente. Con tutto il rispetto per Patrizia Bedori (già candidata sotto la Madonnina), Marcello De Vito e Virginia Raggi (il candidato del M5S nella capitale dovrebbe essere uno dei due), militanti coraggiosi e la cui generosità non può essere messa in discussione, non c’è dubbio che il M5S abbia commesso il gravissimo errore di non voler provare a vincere. Nel tennis si chiama “braccino del tennista”; nel loro caso, probabilmente, hanno pesato anche le recenti vicende di Quarto e di Gela, di Ragusa e di Livorno, con attacchi talvolta comprensibili ma spesso violenti, volgari e gratuiti all’indirizzo di esperienze di governo che, se pur non brillantissime, non hanno certo fatto rimpiangere quelle precedenti; per non parlare, poi, della voluttà con la quale la maggior parte dei mezzi d’informazione ha amplificato le vicende del sindaco Rosa Capuozzo, dimessasi a causa dei presunti ricatti di De Robbio e dell’odore malsano che spirava dalla questione che l’ha vista coinvolta, e dell’espulso Domenico Messinese: un episodio che tradisce semmai un altro limite di quel mondo, ossia il pervicace rifiuto di risolvere i problemi attraverso un dibattito pubblico franco, drammatico e chiarificatore anziché a colpi di “fatwe” internettiane che danno la possibilità ai detrattatori di additarlo all’opinione pubblica alla stregua di una setta.
Comunque sia, sta di fatto che, a differenza di Torino, forse anche a causa della minor qualità della classe dirigente presente sul territorio (non ci dimentichiamo che il meglio del Movimento 5 Stelle viene da quello che un tempo fu il “triangolo rosso: Bologna, Torino, Genova), altrove il mondo stellino non sembra in grado di contendere la vittoria alla Coalizione della Nazione che ha in Sala il suo emblema a Milano e in Marchini il suo punto di riferimento a Roma. E non va meglio a Bologna, dove il fedelissimo Bugani piace poco a una parte degli stessi attivisti del M5S (ricordiamo lo scontro frontale dell’autunno 2014 con i sostenitori del sindaco eretico di Parma Pizzarotti nei giorni dell’Open Day) e non sembra in grado di scalfire il predominio di un PD che, nonostante le spinte in tal senso provenienti dal Nazareno, almeno nel capoluogo emiliano dà l’impressione di non avere alcuna intenzione di snaturarsi ulteriormente, agevolato anche dall’impegno in prima persona dell’ex segretario Bersani a favore del sindaco uscente Merola.
Tralasciando Cagliari, città che fa abbastanza storia a sé, per giunta situata in una regione nella quale nel 2014 i 5 Stelle non si presentarono nemmeno per paura di compromettere il risultato delle Europee (che poi sarebbero andate male lo stesso), il vero problema del movimento è a Napoli: con un PD ai minimi termini, costretto a riesumare addirittura Bassolino (con tutto il rispetto per la Valente e Sarracino, suoi sfidanti alle primarie) per presentarsi minimamente competitivo ai blocchi di partenza, e un centrodestra costretto ad affidarsi allo stesso candidato già ampiamente sconfitto cinque anni fa da De Magistris, il M5S avrebbe la strada spianata, se non fosse che il sindaco uscente è molto più forte delle liste che lo sostengono e che anche moltissimi elettori della compagine grillina potrebbero dirottare su di lui i propri voti. Saggezza, esperienza e lungimiranza vorrebbero che i vertici del movimento accettassero di dar vita a una Coalizione civica a sostegno di De Magistris ma, poiché non lo faranno, per tener fede al proposito di non mescolarsi con nessun’altra forza politica, nel capoluogo campano rischiano di brutto: con quattro membri del Direttorio su cinque provenienti da quella regione, difatti, un eventuale flop ricadrebbe sulle loro spalle e aprirebbe un vivace dibattito interno che potrebbe mettere in discussione la leadership dello stesso Di Maio.

E così torniamo al solito punto: alla dicotomia tra grillismo di lotta e grillismo di governo, alla divisione fra chi punta ad essere l’opposizione di cui il Paese avvertiva il bisogno da vent’anni e chi invece vuole trasformare le pulsioni protestatarie in proposte concrete per rendere migliore il Paese, all’accesa discussione fra chi mira all’autosufficienza e chi sta cominciando a capire che nessuno, tanto meno una forza politica così singolare, può riuscire da solo a sconfiggere un sistema agguerrito e un apparato mediatico e di potere determinato a difendere strenuamente le proprie posizioni di rendita e di privilegio.
Uno degli aspetti più interessanti delle prossime Amministrative sarà, dunque, il confronto serrato nel Movimento 5 Stelle, con la speranza che il “modello Appendino” faccia scuola e che tutto lo stato maggiore di quella compagine si convinca della necessità di offrire risposte e soluzioni innanzitutto alle giovani generazioni. Se ciò non dovesse accadere, il futuro dell’Italia sarebbe a tinte fosche; anzi, verdine.

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