Cosmopolitica: la sinistra, la solitudine, il futuro

ROMA – Più che una cronaca di quanto è avvenuto oggi al Palazzo dei Congressi dell’EUR, in uno dei quartieri più raffinati della Capitale, intendo fornirvi qui alcune impressioni che ho ricavato da questo ennesimo tentativo della sinistra di rimettersi in cammino.

La tre giorni d’incontro, iniziata ieri e destinata a concludersi domani nel primo pomeriggio, denota un’ammirevole volontà collettiva di mettersi in gioco, come se finalmente anche i dirigenti politici di questo microcosmo culturale e politico che vorrebbe diventare macro e costituire una seria alternativa a un Partito Democratico ormai irrecuperabile si fossero resi conto di essere davvero all’ultima spiaggia.

Ora o mai più: si respirava un clima pesante e allegro, grave e spensierato al tempo stesso; una perfetta miscela di sentimenti contrastanti, di passioni mai sopite, di emozioni intense, di sguardi al futuro, di riflessioni sul tempo perduto e di speranze per i giorni e i mesi che verranno. E l’idea diffusa, da molti condivisa, come una consapevolezza che improvvisamente sembra essere affiorata anche nelle coscienze più riluttanti a fare i conti con la realtà, che al termine di questo 2016 nulla sarà più come prima.

Perché il PD, lo ripetiamo, ormai è irrecuperabile, trasformato da Renzi nel Partito della Nazione, sfigurato dall’ingresso di soggetti che nulla hanno a che vedere con la storia della sinistra, incapace di offrire una proposta concreta al Paese che non sia il solito, stantio monologo iper-liberista, intriso di tardo-blairismo anacronistico, terzaviismo fuori dal tempo e rampantismo da yuppie anni Ottanta, il tutto corredato da un sottile velo di arroganza che si riverbera su ogni decisione, comprese le prove di forza, tentate e clamorosamente fallite, sulle unioni civili.

Si respirava in ogni angolo un senso di preoccupazione e d’incertezza, si vedevano in giro sguardi convinti e al tempo stesso preoccupati, si era indotti s riflettere dalla miscela ben riuscita di giovani e meno giovani, militanti di base e insigni costituzionalisti, sindacalisti, esperti di scuola e anche semplici osservatori accorsi da ogni parte d’Italia per rendersi conto se sia davvero possibile rimettersi in cammino, se esista ancora un orizzonte condiviso o se ci si debba, invece, rassegnare all’avanzata del renzismo, ormai giunto all’apice e destinato a sgonfiarsi o a segnare un’epoca.

Ne era cosciente il vecchio Mussi, quando con la saggezza del dirigente di una volta, formatosi sui grandi classici della letteratura e della filosofia, ha citato una bellissima frase di Umberto Eco: “Per essere di sinistra ed essere di governo è necessaria una cosa: sapere”.

E ne erano coscienti anche Pace, Besostri, Azzariti, Sannicandro, Quaranta, Celeste Costantino, come se all’improvviso, al cospetto della sfida referendaria d’autunno, fosse diventato possibile ciò che per anni era sembrato pura utopia: una sinistra capace di coltivare una sana cultura di governo senza scadere nel governismo stucchevole e fine a se stesso, una sinistra capace di prendersi per mano e di passarsi il testimone fra le varie generazioni; una sinistra colta ma non saccente, aperta, al passo coi tempi, piena di limiti ma anche, fortunatamente, cosciente di doverli superare alla svelta se non vuole scomparire o dissolversi in una sconfortante indeterminatezza.

Nelle lunghe, interminabili ore della mattinata, ho assaporato il senso della solitudine, della malinconia e della riflessione profonda, in quel salone sterminato e vuoto, mentre si svolgevano i vari gruppi di lavoro e si respirava un’atmosfera sospesa, uno spaesamento collettivo, un senso di straniamento e d’abbandono, come se tutto stesse per accadere o, forse, fosse già accaduto, a metà fra la bella sensazione di un’occasione ancora da cogliere e l’amara certezza di averne perse già troppe.

Poi la solitudine è svanita, l’amarezza si è dissolta, le preoccupazioni collettive sin sono confortate a vicenda, il dibattito si è animato, la passione civile e politica è tornata a scorrere nelle vene di un’intera comunità e mi sono guardato intorno, scorgendo un panorama di macerie culturali da rimuovere ma, al tempo stesso, tanti piccoli operai disposti a dismettere il vestito buono, indossare gli abiti da lavoro, prendere la pala e iniziare a sgombrare il campo da errori, incomprensioni, protagonismi, esitazioni, litigi inutili e divisioni insulse e distruttive. 

A breve saprò, sapremo tutti se si è trattato della piacevole illusione di un sabato d’inverno o se davvero qualcosa può ricominciare. Una cosa è certa: non ci saranno concesse altre possibilità, specie al termine di un anno destinato a mutare per sempre il nostro panorama politico.

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