“Il caso Spotlight”, sui preti pedofili, un Oscar socio-politico

LOS ANGELES – In un momento in cui in Italia il parlamento non riconosce il diritto all’adozione del figlio del compagno nelle coppie omosessuali e il cardinale Low – personaggio omertoso e pilatesco di Spotlight – è riassegnato dal 2011 alla Papale Basilica Liberiana di Santa Maria Maggiore quale Arciprete; l’intellighenzia americana consegna la statuetta di miglior film al regista Tom McCarthy, e di migliore sceneggiatura originale, firmata da McCarthy con Josh Singer, a “Il caso Spotlight”, pellicola di denuncia della pedofilia nella chiesa.

Il titolo prende spunto dal nome del team dei giornalisti d’inchiesta del Boston Globe, guidati da Roby Robinson. La storia è vera e si riassume così: pochi mesi prima dell’11 settembre 2001 al quotidiano di Boston, città largamente cattolica, arriva Marty Baron, un nuovo direttore (Liev Schreiber). Tra le sue prime iniziative, l’assegnazione al “team Spotlight” di un’indagine sui preti che a Boston, in passato, avevano abusato di minori provenienti da famiglie psicologicamente disagiate. Dopo le denunce molti bambini avevano avuto la vita segnata, alcuni si erano suicidati, ma non c’era stato alcun seguito giudiziario. I giornalisti iniziano a indagare con passione e coraggio finché, oltre la punta dell’iceberg, emergono precise responsabilità per l’insabbiamento di un problema della Chiesa con percentuali così indicative da essere classificato come psichiatrico. Uno scandalo destabilizzante che porta a interrogarsi, tra l’altro, sull’utilità e sanità mentale del celibato nel clero. Tale inchiesta valse al giornale il premio Pulitzer nel 2003.

Il film testimonia anche un momento espressivo dell’informazione: proprio negli anni in cui le rotative di carta cominciavano a temere la concorrenza dell’“On line”, quello del Boston Globe è il cambiamento di pelle più efficace della stampa, dove la necessità di esistere supera ogni parametro di contenimento. Il giornalismo cioè si fa “racconto della realtà” e, per sopravvivere, non si omologa ma, disvelandola, serve e interessa.   

L’opera di McCarthy è rigorosamente, ossessivamente, puntata sullo svolgimento dell’indagine, nessuna concessione al privato che renda il film più coinvolgente. Gli attori sono bravi, ma l’inchiesta incessante e minuziosa alla fine può generare stanchezza nello spettatore. Non pochi critici avevano persino trovato eccessiva la nomination all’Oscar, non c’è dubbio oggi che la giuria di Hollywood abbia voluto premiare l’imprescindibile contenuto del lungometraggio e il suo messaggio educativo. 

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