L’uso del potere politico nell’Italia dell’ultimo ventennio

ROMA – Il dibattito su cosa sia il potere politico, su come possa essere utilizzato, con quali strumenti e verso quali obiettivi, non ha mai smesso di appassionare i grandi pensatori di ogni epoca.

L’interrogativo che ci poniamo noi invece è molto più elementare: può esistere una forma di potere politico orientato al perseguimento del bene comune, che non conduca alla corruzione chi lo detiene, che non si basi sulla forza e sulla mistificazione, che non si limiti a eternare se stesso? Oppure, il potere è per sua natura contaminato e diabolico, interessato solo alla propria autoconservazione, sordo agli insegnamenti della morale, finalizzato a soddisfare unicamente i bisogni e i desideri di chi lo detiene? La nostra convinzione è che il potere politico possa essere orientato ad uno scopo nobile ed esercitato nell’interesse di tutti. Ricoprire un ruolo di responsabilità al vertice della piramide sociale, significa soddisfare i bisogni primari della società e non il dominio sulle persone e sulle cose. Quest’ultimo, invece, sembra essere il modo di intendere il potere da parte della nostra  classe politica. Sono gli uomini, in altre parole, che possono fare un pessimo uso del potere sino a farsene accecare. E possono altresì condannarsi alla corruzione nel desiderio spasmodico di conquistarlo e detenerlo il più a lungo possibile. Ma ciò dipende dalle loro libere scelte e dal loro modo di essere e di comportarsi, non dal potere in quanto tale. Il potere politico da sempre ha bisogno di un solo elemento imprescindibile: la legittimità. L´esercizio disciplinato del potere politico consente la sua limitazione che ben si concilia con la legittimità e con le libertà fondamentali della persona umana, ovvero con i principi e la pratica della democrazia costituzionale. Il suo abuso è un fatto gravissimo perché distrugge una comunità trasformando i cittadini in sudditi, facendone oggetto di inganno, mettendoli nella condizione di non sapere e quindi di non poter giudicare con cognizione di causa, lasciando chi governa nella eccezionale libertà di fare ciò che vuole.

L´abuso mina alla radice la fiducia dei cittadini senza la quale non si hanno relazioni politiche in una società fondata sul diritto. Di conseguenza, in tal contesto, ci si deve sempre attendere la violazione e l´abuso da parte di chi esercita il potere. Per questo motivo, occorre istituzionalizzare le funzioni pubbliche e restringere il potere politico in norme rigide e chiare. Il potere che opera d’arbitrio non è più potere politico ma é dominio e dunque “forza bruta” che fa di chi lo subisce un oppresso a tutti gli effetti. La differenza fra dominio e governo sta tutta qui. In una democrazia costituzionale com’è la nostra, la politica (potere legislativo ed esecutivo) riceve legittimità dal patto fondativo che detta le regole della propria designazione e della propria durata e, se necessario, della destituzione per la possibilità di essere sottoposti alla giustizia ordinaria “per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni” in seguito all’autorizzazione del Senato o della Camera. Queste regole e questi limiti definiscono il potere politico come agire pubblico, stabilendo che esso appartiene alla comunità (Popolo) e non a chi lo esercita, il quale non può mai sostituire il suo personale giudizio su come relazionarsi alle istituzioni a quello definito espressamente dalla legge, dalla quale egli dipende. L´abuso svilisce proprio la dimensione pubblica del potere rendendone l’esercizio un fatto tutto privato.

Con tali peculiarità il potere diventa arbitrio, discrezione nella mani di chi lo maneggia, strumento di privilegio. Il governante che viola le norme che regolano il suo operato si impossessa del potere e lo piega ai suoi interessi personali o di gruppo. Quando il politico abusa del potere a lui conferito, dimettersi è un obbligo perché di fatto viene meno la fiducia dei cittadini che è alla base di ogni società democratica fondata sul diritto. In una democrazia rappresentativa come la nostra, il potere pubblico riceve legittimità dal patto fondativo che detta le norme ed i limiti del suo esercizio. Negli ultimi tempi, il potere politico intrattiene con la verità e con il suo contrario un rapporto difficile fatto di inganni, di omissioni e di menzogne utili per conservarsi e crescere. Le democrazie moderne hanno costruito nel tempo dispositivi efficaci per ridurre i rischi di questa ineliminabile deriva (la nostra lo ha fatto mediante la Carta Costituzionale). Due sono i pilastri portanti di questo impianto. Da un lato, la libertà della conoscenza, la diffusione dell’informazione, lo sviluppo senza limiti della capacità critica del pensiero e delle opinioni. Dall’altro, la sottomissione del potere alla legge e alla regola giuridica per stringerlo in una rete dalle maglie sempre più fitte, dalle quali sia impossibile sfuggire, e che riesca a contenere il suo esercizio senza mai trasformarlo in abuso o peggio in arbitrio. Nell’ultimo ventennio, nel nostro Paese si è aperta una partita complicata e dagli esiti tutt’altro che scontati in cui il potere politico è sempre più oscuro. Ma la non trasparenza del potere è la sconfessione delle regole democratiche e della democrazia stessa. Come diceva Pasolini: nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole. Questo è un rischio enorme che la società contemporanea sta correndo e le cui conseguenze posso essere molto pericolose per le tante conquiste suffragate nella nostra Costituzione. 

 

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