Cosa ci dice l’esito dei ballottaggi – Analisi critica e speranzosa

ROMA – Alcuni risultati erano scontati (Roma, Napoli e Bologna), altri molto incerti (Milano e Trieste), uno (Torino) del tutto inatteso. A sorprenderci, dunque, non deve essere tanto l’esito di questi ballottaggi amministrativi quanto, più che mai, le proporzioni nelle quali sono maturati.

Perché tutti si aspettavano una vittoria netta di Virginia Raggi, oggettivamente agevolata dai disastri compiuti dalle altre forze politiche e dal diffuso sentimento di rabbia, sconcerto e malessere che attraversava la città, ma nessuno poteva arrivare a pensare che questa rivolta contro le consorterie, i poteri forti, gli sprechi, le mafie e l’asfissiante burocrazia che ha strangolato la Capitale negli ultimi dieci anni arrivasse a lambire il 70 per cento. 

Allo stesso modo, per quanto più prevedibile, è stato abbastanza sorprendente anche l’esito del voto di Napoli, dove lo zapatismo in salsa vesuviana di De Magistris è stato premiato, a sua volta, da quasi il 70 per cento dei napoletani.

Ai limiti dell’incredibile è stata, invece, la sconfitta di Fassino a Torino, ossia in una città dove il PD e i suoi predecessori dominavano incontrastati da quindici anni, al punto che a molti osservatori era sembrato già un risultato significativo il fatto che la giovane Chiara Appendino, imprenditrice e grillina atipica per modi e per stile, fosse riuscita a costringere un moloch della politica come Fassino ad andare al secondo turno.

Cosa ci dicono, dunque, questi risultati? Accantonando per un attimo le polemiche e il chiacchiericcio interno, assistiamo senza ombra di dubbio a una rivolta globale del novantanove per cento della popolazione contro il predominio dell’uno per cento di super ricchi che negli ultimi trent’anni, e in particolar modo negli ultimi dieci, ha fatto il bello e il cattivo tempo. Se non si parte da questo dato e non si inscrive l’esito delle Amministrative italiane nel contesto mondiale che vede questa settimana la Gran Bretagna recarsi alle urne per decidere se rimanere o meno nell’Unione Europea e la Spagna tornare al voto per decidere e a chi affidare le sorti del paese, se non si parte da qui, si potrà fornire solo una lettura miope, riduttiva e settaria della portata di queste elezioni.

Perché il problema, più che mai, a livello internazionale, è che un insieme di generazioni private di ogni prospettiva, di uno stipendio decente, della benché minima certezza lavorativa ed esistenziale, della possibilità stessa di curarsi e di mettere su famiglia, queste generazioni da alcuni anni hanno deciso di dire basta, di ribellarsi, di sollevare la testa e di organizzarsi in maniera autonoma, fuori dai vecchi recinti partitocratici, considerati, il più delle volte a ragione, corrotti, antiquati e inconcludenti o, comunque, non all’altezza delle proprie esigenze e aspirazioni.

Se non si parte da qui, se non si capisce tutto questo, si continuerà ad analizzare la contesa politica contemporanea in base a schemi ormai vetusti. Destra e sinistra, per dire, non solo esistono ancora ma sono molto più importanti che in passato; tuttavia, è necessario domandarsi: ma il socialismo europeo da che parte sta? Cos’è oggi la socialdemocrazia? Di quali valori è portatrice? E come si spiega il fatto che una parte, ci auguriamo esigua, degli elettori di Sanders a novembre potrebbe votare per Trump, in odio alla Clinton e a tutto ciò che essa rappresenta? Non sorge il dubbio, alle sinistre della Terza via, che questa rabbia, questo scontento e quest’autentica furia popolare si abbattano soprattutto su di loro, in quanto sono considerate traditrici degli “ideali di gioventù”, delle premesse e delle promesse con le quali si erano presentate in campagna elettorale, della loro stessa ragione di esistere e, pertanto, di continuare ad avere un ruolo in una società liquida e avulsa dalle vecchie distinzioni ideologiche che attengono ormai ad un immaginario novecentesco, sinceramente non più attuale?

Non che non ci sia bisogno di ideologie, per carità: servono come l’aria. Il punto, anche in questo caso, è: quali ideologie occorrono alla società contemporanea? Una, a mio giudizio, dovrebbe essere l’Europa ma non certo questa Europa: liberista, guerrafondaia, disumana, nemica dei popoli, disattenta alle loro esigenze, irrispettosa delle loro scelte democratiche, in preda alle lobby, alle multinazionali e a poteri oscuri e non eletti da nessuno che hanno finito col condizionare i provvedimenti dei governi, in una sorta di colonizzazione contemporanea che non avviene a colpi di mitra ma di acquisti o cessioni di titoli di Stato.

E lo stesso dicasi per il quadro nazionale: una sinistra subalterna ai dogmi del liberismo selvaggio, ormai intrappolata in grumi di potere inestricabili, priva di quel respiro innovativo e, a tratti, rivoluzionario che ha sempre caratterizzato la sua storia, votata per lo più da chi ha già una posizione sociale e indifferente alla disperazione e al senso di alienazione del resto della società, questo genere di sinistra è bene che passi la mano perché ormai non serve più a nulla e risulta, anzi, dannosa e insopportabilmente arrogante. 

E veniamo adesso al risultato emerso dalle urne che si sono chiuse poche ore fa. 

Partiamo dal Partito Democratico.

PD anno zero

Con la vittoria risicata di Sala a Milano e quella sottotono di Merola a Bologna, entrambe frutto della paura degli elettori di sinistra di veder tornare in auge, anche a livello locale, quei pezzi di destra berlusconiana che hanno avversato per vent’anni, si può dire che Renzi ha scongiurato la crisi di governo. Ciò detto, siamo all’anno zero. Il PD, di fatto, non esiste più e qui mi preme di inviare un messaggio franco e diretto agli amici della minoranza interna: ragazzi, seppellitelo quanto prima. 

Seppellitelo sì perché è ormai acclarato che siamo al cospetto di un'”amalgama mal riuscita”, per dirla con D’Alema, di un soggetto politico nato male e proseguito peggio, il quale con Bersani era riuscito a darsi un’anima e una dignità ma che poi si è suicidato con le proprie stesse mani, nel momento in cui ha accettato di piegarsi alla richiesta di Napolitano di provare a salvare il Paese insieme alle stesse forze politiche che lo avevano distrutto, verniciando da tecnico un onesto liberista come Monti e la sua compagine di liberisti benestanti il cui anno di governo ha consentito al M5S di raccogliere tutto il malcontento popolare che si era venuto a creare nel frattempo.

Cari Bersani, Speranza, Cuperlo, Gotor e via elencando, qui non occorre un congresso straordinario o un nuovo segretario ma un soggetto politico radicalmente alternativo, in quanto non può esserci perdono per questa lunga notte e il renzismo è un baratro dal quale sarà impossibile riemergere, per il semplice motivo che il PD è ormai marchiato a fuoco come il partito del Jobs Act, della Buona scuola, dello Sblocca Italia, dell’Italicum, dello stravolgimento della Costituzione, di una riforma della RAI che ha riportato l’azienda indietro di quarant’anni e di un’altra messe di provvedimenti insostenibili che rendono impossibile il suo riscatto. Oltretutto, per quanto fortemente indebolito e sicuramente costretto a fare i conti con un malessere interno al diapason, Renzi non sembra intenzionato a cambiare registro; pertanto, lasciatelo ai suoi eccessi, alle sue esagerazioni, alla sua personalizzazione esasperata ed esasperante della politica, lasciategli condurre la battaglia referendaria come un quesito su se stesso, lasciatelo gridare al vento contro i gufi e i “professoroni” e assaporate, dopo tanto tempo, il fresco profumo dell’emancipazione da catene che non hanno più alcuna ragione di esistere, che la gente, in particolare i più giovani, non capisce e non accetta più e che vi stanno rendendo ridicoli quando, al contrario, al vostro interno ci sarebbe una miniera d’oro di competenze e di intuizioni che attendono unicamente di essere rimesse in gioco.

Renzi non cambierà, il PD neppure: i militanti storici se ne sono andati, i ragazzi non lo capiscono e non si sentono rappresentati da esso, in periferia semplicemente non esiste o è ridotto alla lotta clandestina, è identificato ormai con il peggio del peggio dell’establishment mentre io so, per conoscenza diretta, che voi avreste le risorse mentali e culturali per compiere e una mossa alla Sanders o alla Corbyn, se solo ne aveste il coraggio e la voglia.

No, non serve un cambio di passo: occorre una dignitosa sepoltura e la costruzione di un nuovo soggetto politico fondato su tre ideali chiari e riconoscibili: la battaglia per un’Europa radicalmente diversa dal mostro contemporaneo, il rifiuto di ogni promiscuità o compromissione con il liberismo e con tutto ciò che esso rappresenta e l’accantonamento di quella sicumera altezzosa che ha reso la sinistra assolutamente insopportabile, in favore di una ritrovata umiltà e di una capacità di ascolto di ciò che avviene nella società. Stiamo parlando della maieutica dossettiana e di alcuni principi contenuti in quel gioiello che è il Codice di Camaldoli, antesignano e fonte di ispirazione della Carta costituzionale: da qui si può ripartire per andare lontano, da una platea di soggetti buoni per tutte le stagioni che da renziani dovessero trasformarsi in speranziani e poi in chissà cos’altro no, state ne certi.

Sinistra: fare i conti con la realtà

Spiace dirlo, ma se va avanti di questo passo la sinistra tradizionale, almeno in Italia, è destinata a scomparire. E, cosa assai sorprendente detta da uno come me, sarebbe un bene. Perché la sinistra così non serve a niente: non è altro che un apparato, una nomenclatura di potere, un’elefantiaca e inutile distesa di reduci di mille battaglie, in alcuni casi ancora convinti che prima o poi ricostruiranno il Muro e che al termine della lunga notte sorgerà il sol dell’avvenire, i quali non vivono nel presente e non lo capiranno mai.

Una sinistra sterile, minoritaria, indecisa a tutto, pronta ad accettare il peggio del peggio in cambio di uno strapuntino e a coprire soggetti invotabili agli occhi del proprio elettorato con la scusa che sennò arrivano i barbari, altro non è che la migliore alleata di questi ultimi.

Renzi, per dire, non è un nemico perché non dobbiamo concepire questa categoria ma nemmeno un alleato: è un avversario e come tale bisogna confrontarsi con lui e con i suoi provvedimenti. Insistere in un’alleanza, sia pure solo a livello locale, con gli stessi che in Parlamento hanno approvato tutto ciò che abbiamo sempre contrastato e contro il quale abbiamo scritto, urlato e manifestato per quattro lustri è puro autolesionismo: può condurre alla vittoria a Cagliari (bene Zedda) e a una vittoria di un uomo di destra travestito da compagno a Milano ma a livello complessivo si paga e a caro prezzo.

La sinistra ha senso se comincia, ad esempio, a rendersi conto che il M5S non è ancora un alleato ma neppure un avversario, che in questi anni abbiamo frequentato le stesse piazze e gli stessi cortei, che il comune sentire è più ampio di quanto noi stessi non immaginiamo e che con questa forza politica bisogna cominciare a confrontarsi con il dovuto rispetto e mettendo da parte pregiudizi, odi e rancori che costituiscono la negazione stessa della politica.

Con meno di questo, meglio lasciar perdere. Con l’isolazionismo, la difesa ad oltranza di un mondo che non che c’è più, il rimpianto nostalgico e il sogno di riportare in vita esperienze che appartengono al passato non si va da nessuna parte e non si compie nemmeno una valida analisi storica e sociologica di ciò che e stato, di ciò che è e di ciò che potrebbe essere in futuro, oltre a rendere pressoché impossibile l’elaborazione di una strategia che vada al di là della richiesta di mezza poltrona.

Vale per Sinistra Italiana e vale anche per Possibile, con l’auspicio che il riconfermato De Magistris, un soggetto irregolare e un po’ pazzo ma senz’altro interessante come Emiliano e altri amministratori non identificabili con il classico funzionariato di partito privo di un’idea che sia una si mettano in gioco e trasformino queste due esperienze in una Podemos italiana in grado di confrontarsi, di sfidare e infine di stringere un’alleanza con il M5S e con quella parte del PD capace di affrancarsi da un contenitore ormai privo di senso.

Se ciò non dovesse accadere, bisognerà cominciare a prendere in considerazione l’idea di affidarsi a un soggetto politico intriso di contraddizioni e che mi desta tuttora mille perplessità ma che quanto meno esiste ed inizia ad avere una classe dirigente diffusa di un certo spessore.

La destra che non c’è più: “impronunciabile per cinquant’anni”?

Non so se avesse ragione il vecchio Indro Montanelli quando sosteneva che dopo Berlusconi la parola destra sarebbe stata “impronunciabile per cinquant’anni” ma una cosa è certa: al momento, di una destra liberale, sanamente conservatrice e dignitosamente europea, alle nostre latitudini non v’è traccia.

Salvini è il grande sconfitto di questa tornata elettorale, a dimostrazione che, al pari di Renzi, le sue capacità di sintesi e di leadership sono assai inferiori a quanto ci abbiano raccontato negli ultimi ventiquattro mesi. I due sono venuti su in contemporanea e insieme potrebbero uscire di scena, dopo aver incarnato per due anni la destra cara ai tecnocrati di Bruxelles e quella lepenista, estrema e radicale che, al momento, garantisce un po’ ovunque una discreta rendita di posizione, insidiando la cittadella arroccata di un potere marcio, autoreferenziale e asfissiante.

A parte questo, tuttavia, il salvinismo non ha prodotto alcuna innovazione nel panorama politico nazionale: oltre un rispettabile 13-15 per cento non va, non arriva al ballottaggio a Roma, perde a Milano e a Varese e, quel che è peggio, divide e ostacola la ricomposizione di un campo del quale si avrebbe un disperato bisogno per tornare a vivere in un contesto di normalità.

Altro non mi sento di dire, in quanto sarebbe come sparare sulla Croce Rossa e non mi pare il caso.

M5S: occhio a non diventare “renziani”!

Quando due anni fa Renzi raggiunse la vetta dolomitica del 40,8 per cento, il sottoscritto e pochi altri rompiscatole di professione scrissero fra l’ilarità generale: Matteo, questo risultato è destinato a rimanere un unicum, essendo stato agevolato dagli 80 euro e dal positivo clima di curiosità che si è diffuso intorno alla tua figura; partendo da questo assunto, rinfodera gli eccessi, apri al dialogo con le parti sociali, smettila di spianare, asfaltare, umiliare e offendere chiunque la pensi diversamente e ti faccia presente che le tue riforme non sono il non plus ultra e vedrai che durerai a lungo, pur non sfiorando mai più la vertigine di una simile altezza.

Ebbene, caro M5S, non diventare “renziano”! L’eroe di Rignano sull’Arno, dal 2014 ad oggi, ha fatto l’opposto di ciò che gli avevamo consigliato ed è finito come vedete; se voi doveste fare altrettanto, fra un anno di voi, non avendo certo la stampa a favore e non potendo contare sui medesimi appoggi di sistema, non sarà rimasto nemmeno il ricordo.

Cambiate tutto sul serio, a cominciare da casa vostra. Evitate, tanto per dirne una, di espellere un dissidente saggio e costruttivo come Pizzarotti: recatevi a Parma, sedetevi intorno a un tavolo e ascoltate le sue ragioni che sono ottime e possono solo aiutarvi a crescere.

Occhio, poi, a non puntate solo sulla Raggi, in quanto Roma è una realtà complessa e, soprattutto, l’illustre avvocatessa vale un filino meno della collega di Torino: una ragazza eccezionale che, in un contesto politico normale, sarebbe stata la candidata del centrosinistra unito al posto di Fassino. L’avete proposta voi e tanto di cappello: complimenti perché ci ha sfiorato l’anima, vincendo con pieno merito e convincendo con la sua semplicità e con un’ammirevole schiettezza.

Infine, basta assalti al cielo: ormai governate e dovete assumere un tono istituzionale, aprirvi al dialogo e al confronto con le altre forze politiche, cogliere quanto di buono c’è nel prossimo, ricordarvi che i voti ormai sono sempre in prestito e non acquisiti per sempre e, poiché Renzi, a questo punto, potrebbe essere costretto a modificare l’Italicum e la sinistra non è detto che si svegli per tempo, provvedere a costituire una lista civica nazionale da affiancare al vostro simbolo, composta da personalità di tutto rispetto, in grado di schiudervi orizzonti finora inesplorati. Se poi dovesse essere possibile dialogare con De Magistris e con il movimento nazionale che ha annunciato di voler costituire, ovviamente da una posizione di forza, tanto meglio.

Infine, un appunto sulle regole: via un po’ di dogmi e di tabù talebani che, oltre ad aver fatto il loro tempo, vi rendono anche piuttosto antipatici. Ribadisco: l’era della contrapposizione al sistema e della battaglia a mani nude contro l’universo/mondo è terminata: adesso siete al governo di città fondamentali nell’economia del Paese e dovete dimostrare di essere all’altezza della sfida.

Quanto a me, giovane-vecchio arnese dell’analisi politica, scettico, criticone eppure estremamente aperto nei vostri confronti, dopo avervi chiesto umilmente scusa per non aver capito nulla di voi a suo tempo, lasciatemi ringraziare di cuore alcune persone: Giulia Sarti, senza la quale non avrei mai aperto gli occhi sul vostro conto; Silvia Chimienti, con la quale abbiamo condiviso l’avventura di un libro-intervista in difesa della Costituzione (grazie anche alla straordinaria disponibilità della professoressa Carlassare) che sarà in libreria nei prossimi giorni; Francesca Businarolo, Vittorio Ferraresi, Salvatore Micillo e la già menzionata Chiara Appendino, senza i quali la mia conoscenza di questo macrocosmo sarebbe rimasta alquanto superficiale.

Per candidare ragazzi di questo valore, bisogna poterselo permettere e voi, per ora, avete dimostrato di esserne in grado.

Adesso abbiate l’intelligenza di ripetervi ogni giorno che la Raggi ha vinto perché gli altri si erano suicidati in precedenza e che la Appendino è il modello da seguire, in quanto senz’altro più eterodossa rispetto alla collega ed espressione limpida di quel M5S non casaleggiano e non direttoriale che non si vota soltanto per disaffezione nei confronti degli altri ma anche per convinzione, per il semplice motivo che persone del suo calibro meritano finalmente un’occasione per dimostrare le proprie qualità e competenze.

Ora sta a loro dimostrare di cosa sono capaci, sperando che non perdano di vista il fatto che la politica o è cambiamento vero o, molto semplicemente, non è perché non serve a niente.

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