François Mitterrand e l’Occidente senza socialismo

ROMA – Mentre la Spagna scivola progressivamente verso destra, con un PSOE egemonizzato dall’ala più conservatrice, ossia la fortezza andalusa della Díaz e dell’ex presidente González, e condannatosi probabilmente all’estinzione nell’arco di qualche anno, e mentre in Francia Hollande batte gli ultimi colpi di una presidenza da dimenticare, si staglia sullo sfondo il centesimo anniversario della nascita dell’ultimo grande socialista che abbia guidato quel paese: François Mitterrand.

Nato a Jarnac il 26 ottobre 1916 e scomparso a Parigi, all’età di 79 anni, l’8 gennaio 1996, Mitterrand è stato l’ultimo esponente socialista ad attenersi ai valori e ai principi di una nobile ideologia di sinistra, successivamente sgretolatasi in ogni angolo del globo, a cominciare proprio dalla Vecchia Europa che ne era stata la culla e l’espressione più autorevole. Iniziò Blair nel ’97, vincendo a valanga le elezioni contro il grigio Major e ponendo fine all’egemonia dei tories dopo diciotto anni di dominio incontrastato; peccato che il buon Tony, una volta accasatosi al numero 10 di Downing Street, non abbia fatto altro che proseguire lungo la strada tracciata dalla deleteria “Lady di ferro”, nemica dell’Europa e dei diritti dei lavoratori, causa principale dell’esplosione delle disuguaglianze all’interno del Paese e responsabile morale del degrado dell’Occidente, essendo stata lei ad elevare l’egoismo e l’individualismo a virtù e a negare l’importanza di essere una comunità solidale in cammino, mettendo in discussione persino il concetto stesso di società. 

Una follia assurda e disumana, foriera di malessere sociale a non finire, eppure Blair non ha mai neanche pensato di contrastare questa tendenza; anzi, l’ha elogiata e trasformata in un punto di forza del proprio partito, modificandone la mentalità e la classe dirigente, al punto da spostarlo ancora più a destra dei rivali conservatori, salvo poi venire sconfessato, di recente, dagli elettori tradizionali del Labour, arcistufi di un nuovismo propagandistico e fasullo, e, cosa ancor più importante, dalle nuove generazioni, le quali si sono recate in massa a prendere la tessera del partito per sostenere la candidatura di un vero socialista come Jeremy Corbyn. 

E una china analoga è quella lungo cui si è incamminata la fu socialdemocrazia tedesca, la quale prima ha affidato all’ex responsabile delle risorse umane della Volkswagen la realizzazione di una riforma del lavoro iniqua e devastante e poi, ovviamente, si è vista voltare le spalle da milioni di elettori disgustati, tanto che a Berlino le uniche insidie per la Merkel provengono dai nazionalisti di Alternative für Deutschland, non certo da un SPD ridotto ai minimi termini. 

Tralasciando le tragicomiche vicende italiane, passiamo ora ad esaminare ciò che è accaduto, negli ultimi anni, oltralpe.

Hollande, candidato di ripiego dei socialisti dopo che Strauss-Khan è rimasto invischiato in un brutto scandalo a sfondo sessuale, si è presentato ai francesi con un programma economico e sociale in linea con il pensiero e l’analisi dei migliori ideologi keynesiani; peccato che dopo un anno e mezzo abbia virato su un liberismo estremo e pericoloso che lo ha indotto dapprima ad affidare la poltrona di primo ministro a Valls, in seguito a compiere una sorta di brumaio mercatista, cacciando in malo modo quei ministri colpevoli di non voler rinunciare alle proprie idee di sinistra, infine a varare la Loi travail, per giunta imponendola con il massimo dell’arroganza possibile, col risultato che il suo consenso è oggi pressoché nullo e c’è solo da augurarsi che les Républicains puntino sull’onesto gaullista chirachiano Juppé anziché sul mediocre Sarkozy per avere più possibilità di sconfiggere, in primavera, l’arrembante Le Pen al ballottaggio.

In poche parole, l’unico Paese europeo che, prima dell’avvento duo barbaro Hollande-Valls, aveva avuto una destra civile, rappresentata dall’ormai novantenne Giscard d’Estaing, e una sinistra degna di questo nome, incarnata dal compianto Mitterrand, capace di tenere a bada gli istinti centristi dello scomparso Rocard, si trova ora a dover fare i conti con una sinistra impresentabile, una destra repubblicana che strizza l’occhio al thatcherismo, come se esso non avesse già arrecato abbastanza danni al Vecchio Continente, e una drammatica destra frontista che, cavalcando il malessere dei ceti sociali più deboli e spaventati da una globalizzazione escludente, veleggia ormai intorno al trenta per cento dei consensi. 

Lo abbiamo scritto mille volte ma, di sicuro, repetita iuvant: questa pseudo-sinistra terzaviista, presuntuosa, arrogante e distante dalle esigenze effettive del proprio blocco di riferimento, intenta da anni a cercare di farsi accettare nei salotti buoni del capitalismo più deteriore e disposta a tutto pur di conquistare il potere e provare a mantenerlo, questa non sinistra è la causa principale dell’ascesa dei Trump, delle Le Pen, degli Hofer e, dove ci è andata bene, della nascita di partiti magari ingenui, magari discutibili, magari permeati da un’eccessiva radicalità ma quanto meno intenzionati a restituire e voce e rappresentanza a quelle ampie fette di popolazione che la sinistra ufficiale ha calpestato e ignorato per troppo tempo.

E così, in un panorama globale in cui molti si dicono socialisti ma non sanno neanche dove stia di casa il socialismo, al cospetto di un PSE che, dopo le elezioni franco-tedesche del prossimo anno, andrà rifondato su basi nuove, mentre l’America si accinge a votare, con il rischio di ritrovarsi guidata da un tycoon megalomane e totalmente inadatto a sedere nello Studio ovale, in questo contesto desolato e desolante, ricordare la figura di Mitterrand, le sue intuizioni, i suoi errori, il suo doppio settennio alla guida della Francia e la sua vasta eredità, purtroppo accantonata dai successori, è un buon modo per indicare la strada di un possibile riscatto. Un riscatto, sia ben chiaro, che non avverrà se non avremo il coraggio di schierarci apertamente a fianco della piccola Vallonia nella lotta contro quell’accordo capestro che è il CETA e contro la tracotanza di un esibizionista di nome Trudeau, presidente dell’immenso Canada ma non certo all’altezza del buon governo di suo padre; che non avverrà se non sapremo mettere a frutto gli insegnamenti e le speranze suscitate dall’anziano Sanders; che non avverrà se non daremo forza e sostegno a Corbyn e non ci batteremo per un’alleanza fra la Linke e e i Verdi, in grado di stimolare la socialdemocrazia tedesca ad abbandonare i dogmi schröderiani e a tornare in sé, e non avverrà, infine, se lungo l’asse mediterraneo non sapremo mettere insieme tutte le energie e le risorse migliori che non vogliono saperne di seguire la strada suicida del PSOE e del PASOK o il blairismo anacronistico di Renzi. Ne hanno bisogno le nuove generazioni. Ne ha bisogno l’Europa se, mutuando un’espressione di Metternich, non vuole trasformarsi in una mera “espressione geografica”. Ne hanno bisogno gli Stati Uniti se vogliono conservare un ruolo di primo piano nel nuovo assetto di un mondo policentrico. In definitiva, ne ha bisogno l’intero Occidente se non vuole trasformarsi nella colonia di qualche petromonarca, con redditi, livelli lavorativi e standard sociali da Terzo mondo.

Condividi sui social

Articoli correlati