Camilleri e Simenon, a tavola e con le donne Montalbano rincorre Maigret

Più d’una volta, nei racconti di Andrea Camilleri, di cui è protagonista il commissario Salvo Montalbano, ricorre la citazione: “Prese un romanzo di Simenon e cominciò a leggere”. Oppure: “Fece come Maigret: decise di andare a mangiare”.

C’è un evidente filo rosso che unisce i personaggi dell’uno e dell’altro scrittore. Come Camilleri non ha scritto solo racconti con le imprese di Montalbano, così Simenon non ha scritto solo romanzi di cui è protagonista il commissario Maigret. Anche se per molti lettori (e per molti spettatori che, prima al cinema e più tardi in televisione, hanno trovato nel corso degli anni film e serie tv dedicate appunto ai due  investigatori), lo scrittore francese e il suo collega siciliano devono soprattutto a loro la maggior parte della popolarità planetaria, e trascurano l’altra pur vasta produzione di entrambi. Due titoli per tutti: L’uomo che guardava passare i treni di Simenon, e Il birraio di Preston di Camilleri. Quando uscirono Maigret e Montalbano non erano ancora nati. 

George Simenon ha cominciato giovanissimo a scrivere di Maigret, fin dagli anni ‘30.  Nato a Liegi nel 1903 da una famiglia borghese, presto si è trasferito a Parigi dove ha passato buona parte della sua lunga vita. E’ morto a Losanna nel 1989. Andrea Camilleri è del 1925, ha da poco compiuto 92 anni, siciliano di Porto Empedocle, ha sempre vissuto e lavorato a Roma da dove praticamente non si è mai mosso. Ha cominciato a scrivere di Montalbano nei primi anni Novanta.  Un’elementare constatazione: Simenon non può aver letto i libri di Camilleri il quale, invece, ha saccheggiato i suoi. Con questo, non s’insinua qui che abbia copiato: Camilleri, che si autodefinisce solo un cantastorie, è un grande scrittore anche se arrivato tardi al successo.  L’autore siciliano è la scoperta di un geniale editore come Elvira Sellerio: si deve a lei se i racconti che riempivano i cassetti del suo ufficio-soggetti nella sede della Rai, di cui è stato per anni dipendente, sono passati sotto i torchi della piccola casa editrice palermitana e lo hanno rivelato. Solo più tardi è arrivato Mondadori con libri-strenna che hanno fatto conoscere il colorito dialetto siciliano di Montalbano e dei suoi collaboratori a tutta l’Italia, (e anche all’estero dove, ovviamente tradotti, hanno avuto ugualmente grande successo). Che Camilleri abbia letto “tutto” Simenon è impresa ardua perché la produzione dello scrittore belga naturalizzato francese è enorme (più di duecento fra romanzi e racconti),  ma che per il suo Montalbano si sia ispirato a Maigret è plausibile: molte sono, infatti, le affinità fra i due personaggi. Partiamo dalle donne: l’uno, il francese, ha una moglie devota, discreta, accomodante, comprensiva. L’altro, il siciliano, ha una fidanzata esigente, gelosa, incontentabile, invadente. Ma tutte e due sono tipi sulle quali i due commissari si appoggiano nei momenti di dubbio, di stanchezza, di sconforto  al termine di defatiganti giornate dedicate a infruttuose indagini di polizia. Insomma, la signora Maigret e la signorina Livia, ligure  di Boccadasse, sono fra loro due contrari che si assomigliano, quasi l’anziano scrittore italiano  abbia guardato all’attempata signora francese quando ha creato la sua più giovane omologa.

Ma è soprattutto a tavola che Simenon e Camilleri  si scoprono cugini nella scrittura: il commissario Maigret non riesce a portare avanti un’inchiesta senza infilarsi tutti i giorni  dentro un bistrot o una brasserie, per bere un bicchiere di bianco, una birra alla spina, un pastis o mangiare il piatto del giorno, mescolandosi a una clientela che è sempre fatta di gente comune, anche se siamo nel centro di una Parigi sistematicamente piovosa (o talvolta in campagna in una trattoria alla buona sulle rive della Senna). E quello che Maigret mangia o beve è ogni volta descritto con amore dallo scrittore: sembra di vederlo anche lui a tavola accanto al suo personaggio. All’uggiosa pioggia parigina  corrispondono, in Camilleri, gli  improvvisi temporali siciliani che spesso spingono Montalbano a ripararsi nella trattoria preferita di Vigàta dove spesso  affronta menù degni di un pranzo di nozze. Con i piatti della cucina francese serviti a Maigret e con le portate di pesce  che si spolvera Montalbano, un furbo  gastronomo  potrebbe oggi mettere insieme un nuovo Talismano della felicità o un moderno  Re dei cuochi, i due capisaldi  della letteratura in cucina  sui quali si sono formate generazioni di giovani spose di buona famiglia e di scarsa dimestichezza con pentole e padelle. Forse qualcuno lo ha già fatto: “A tavola con Montalbano in Sicilia”, o “A pranzo con Maigret in Francia”: sarebbe un vero successo editoriale, Simenon e Camilleri meriterebbero i diritti d’autore.

Oltre che nei  gusti alimentari, Montalbano  rincorre Maigret anche sui rapporti con le donne. Nella sua lunga vita, Simenon non si può dire che sia stato proprio femminista, ma amante delle donne, eccome. Eppure i suoi personaggi femminili raramente sono positivi o per lo meno simpatici: le portinaie sono tutte petulanti, le cameriere sgarbate, le segretarie incapaci, le signore della buona società di dubbia moralità. Si salvano solo le ragazze che fanno lo  strip-tease o le professioniste ospiti fisse dei locali notturni. Per queste ultime  Maigret dimostra più simpatia che per altre categorie (e anche Simenon, a leggere la sua autobiografia, era della stessa idea: lui si che ha fatto strage di cuori, altro che il vecchio, ombroso Maigret).  Montalbano, sulla carta  un vero tombeur de femme, ha le mani legate dalla pur lontana, storica fidanzata. Camilleri si diverte a calarlo in situazioni imbarazzanti, perché le donne che incontra sono spesso belle e ammaliatrici,   seducenti e calcolatrici. Personaggi anche loro per lo più negativi, con la sola eccezione della cameriera Adelina che gli cucina piatti di squisitezza inarrivabile. Quello che a Parigi  fa la mite signora Maigret con il burbero incontentabile marito appena rientrato a casa dal Quai des Orfevres.

Non solo sui libri ma anche al cinema e in tv, la coppia Maigret-Montalbano è collaudata.  Il prossimo film sul commissario francese avrà  protagonista un attore inglese che non ti saresti aspettato, Rowan Atkinson, sì, proprio lui, il goffo mister Bean, mentre la Rai sta già realizzando nuovi episodi di Montalbano, protagonista  Luca Zingaretti, un attore che fatica a uscire dal personaggio che lo ha reso popolare. Nel cinema francese, Maigret ebbe il volto indimenticabile di Jean Gabin, alla nostra televisione fu impersonato  da Gino Cervi in una delle sue migliori interpretazioni (e Andreina Pagnani fu una signora Maigret indimenticabile). L’amore di Camilleri per Simenon viene da lontano: quando la Rai su proposta di Diego Fabbri mandò in onda, dal 1964  al 1972 in 35 puntate, i  sedici sceneggiati tratti da altrettanti romanzi di Simenon, fu proprio ad Andrea Camilleri, all’epoca delegato di produzione,  che fu affidato l’incarico di realizzare la serie, e fu  lui a scegliere Gino Landi per la regia. E Landi volle Gino Cervi come protagonista.

Insinuare che Simenon con il suo Maigret abbia avuto una certa influenza sul Camilleri di Montalbano è arduo ma non vano.  Così come è certo che a Camilleri si stanno ispirando i più giovani autori di gialli italiani. Ormai sono una schiera, ognuno con il suo investigatore personale: Gianrico Carofiglio con  il maresciallo Fenoglio, Maurizio Di Giovanni  con il detective Ricciardi, Antonio Manzini con il vice-questore Schiavone, Dario Crapanzano con il commissario-capo Arrigoni, Augusto De Angelis con il commissario De Vincenzi. Tutti autori di successo e personaggi popolarissimi, lanciati verso il traguardo di una bella fiction televisiva in più puntate.  Su tutti, dall’alto dei suoi 92 anni, veglia sornione il capostipite Camilleri.  La piovosa Parigi, la solare Vigàta, due commissari quasi coetanei, due autori che sembrano giocare fra loro a rimpiattino con il gusto dell’intrico poliziesco. Due grandi scrittori, una fortuna per i loro editori, un vero divertimento per i lettori. Ma per i giallisti italiani della nuova generazione un ingombrante monumento difficile da spostare, anche in tempi di iconoclastia.

   

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