Università. Non avete il diritto di parlare di merito

Sarò sincero: non mi sorprende ciò che un coraggioso ricercatore universitario ha portato alla luce registrando determinate conversazione e non esitando a sporgere denuncia. Ha fatto benissimo, dimostrando un profondo senso civico che farebbe un gran bene anche a noi italiani, visto che il suddetto era per metà inglese e probabilmente forgiato dalla cultura etica di quella Nazione anziché della nostra, da sempre allevata e cresciuta a “Furbara”.  

Probabilmente, dopo quest’azione, Philip Laroma Jezzi, questo il suo nome da non dimenticare, non troverà più neanche una cattedra a Cosenza, almeno alle nostre latitudini, in quanto se è davvero bravo come si dice, non dubito che un domani ce lo ritroveremo in cattedra a Princeton, a Oxford o alla Sorbona di Parigi. 

Non dimentichiamo il suo nome e non dimentichiamo nemmeno quello di Norman Zarcone, suicidatosi lanciandosi dal settimo piano dell’Università di Palermo poiché gli era stato fatto chiaramente intendere che per lui in quell’ateneo non c’era posto e, forse, non c’era posto in nessun ambito dello squallido sistema italiano. 

Potremmo riflettere sulla fuga dei cervelli, sull’Italia ricca di talento che, al pari di Crono, divora i suoi figli e li costringe ad andar via, così come potremmo soffermarci ancora una volta, l’ennesima, sulla mancata valorizzazione del merito, della competenza e via elencando, stigmatizzando a dovere la piaga dei favoritismi, del familismo amorale e di altre porcherie che ci costringono a giocare in Serie B pur avendo, potenzialmente, a disposizione una squadra in grado di vincere la Champions. 

Potremmo, ma la nostra attenzione è bene che si appunti su un altro elemento intollerabile, ossia la pretesa, da parte del vasto universo baronale coinvolto in questo scandalo, di riempirsi continuamente la bocca dell’orrenda parola “meritocrazia”. Ebbene, a me è tornato in mente un comizio dello sventurato Oscar Giannino, passato alla storia per aver raccontato qualche panzana di troppo alla vigilia delle elezioni del 2013 e di fatto suicidatosi dopo aver condotto una campagna elettorale di tutto rispetto. Al netto del suo stravagante modo di vestire e di quel brutto scivolone che gli costò, sostanzialmente, l’elezione, in uno dei suoi comizi migliori il popolare giornalista raccontò la storia di un giovane professore associato che gli aveva chiesto di potersi candidare nelle sue liste, anche in una posizione ineleggibile pur di poter fornire il proprio contributo, e al quale il rettore, candidato con Scelta Civica, aveva fatto presente che, se avesse voluto avere qualche possibilità di diventare ordinario, avrebbe dovuto ritirare la candidatura. 

Non ho dubbi che anche quel magnifico rettore passi le sue giornate a blaterare a dritta e a manca di “meritocrazia”, a difendere il numero chiuso, ad umiliare indegnamente la mia generazione, a sostenere il bisogno della massima severità nei giudizi e ad incentivare la cultura della barbarie e della crudeltà gratuita in nome di quel darwinismo sociale tanto caro ai liberisti e ai ciarlatani di ogni ordine e grado. 

E allora è questo il punto da approfondire: la sconcertante, squallida, disarmante ipocrisia della peggior classe dirigente che si ricordi a memoria d’uomo, la quale, per darsi un tono, si scaglia contro quella politica di cui, invece, ha bisogno come l’aria, visto che in un paese veramente meritocratico molti di questi soggetti difficilmente riuscirebbero ad ottenere anche solo un ruolo da assistenti. 

È doveroso costringerli a fare i conti con le proprie responsabilità, con le proprie dichiarazioni, con la propria ostentata superiorità che, in realtà, altro non è che una maschera per nascondere la propria intrinseca miseria morale. 

È doveroso, in poche parole, fare ciò che Giannino aveva annunciato di voler fare in quel comizio: quando uno di questi cialtroni inizia a concionare sui massimi sistemi e a darsi arie da galantuomo irreprensibile, bisogna alzarsi a propria volta ed esclamare: “Taci, miserabile!”.

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