Thomas Sankara e la profezia dell’Africa

Di Thomas Sankara, della sua storia e del suo esempio rivoluzionario si tende a parlare sempre troppo poco.

Nato a Yako il 21 dicembre 1949, venne assassinato a Ouagadougou il 15 ottobre 1987, dopo aver dato al proprio stato il nome di Burkina Faso che in More e Djoula, i due idiomi della nazione, significa “Terra degli uomini integri”. 

Di Sankara, detto anche “il Che Guevara africano” o “il presidente ribelle” si tendono a ricordare, soprattutto, le riforme sociali e la straordinaria attenzione ai bisogni dei ceti più deboli, senza mettere in evidenza, o comunque non abbastanza, il ruolo che egli ebbe nel sollevare il tema dell’esorbitante debito pubblico dei paesi africani, dietro cui vedeva, a ragione, una moderna forma di colonialismo. 

Asseriva, infatti, Sankara, pochi mesi prima di essere ucciso: “Noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici. Anzi, dovremmo invece dire “assassini tecnici”. Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei finanziatori. Un termine che si impiega ogni giorno come se ci fossero degli uomini che solo sbadigliando possono creare lo sviluppo degli altri. Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per 50, 60 anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per 50 anni e più. Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee”. 

Senza dimenticare il suo notevole impegno a favore dell’agricoltura, della lotta alla povertà, alla malnutrizione e ad altri mali atavici del continente africano e del suo Paese, con un’attenzione particolare rivolta anche alle donne, alla loro dignità, ai loro diritti e alle loro prospettive che lo rese non solo un protagonista lungimirante ma addirittura un eretico nel panorama politico africano. 

Non a caso, aveva numerosi nemici: nei paesi confinanti ma anche, in particolare, in quegli stati occidentali responsabili della colonizzazione dell’Africa che non tolleravano la presenza di un uomo desideroso di restituire libertà e speranza alla sua gente.

Un galantuomo che migliorò in maniera significativa le condizioni di vita del suo popolo, dunque, assassinato da una congiura che partiva da lontano e che ha avuto come conseguenza quella di riportare il Paese nell’incubo della miseria, dell’arretratezza e della barbarie. 

L’omicidio di Thomas Sankara fu, forse, uno degli ultimi atti della Guerra fredda: l’eliminazione di uno dei principali baluardi di quel socialismo africano che, da Nyerere in poi, ha avuto il coraggio di tener testa allo scenario da incubo verificatosi in seguito alla decolonizzazione del 1960, quando molti dei paesi che si erano faticosamente emancipati dal giogo delle potenze europee venne risucchiato nell’orbita degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, fra guerre per procura, guerre civili e dittature sanguinose e strazianti. 

Nyerere, Sankara e pochi altri dissero no, si opposero, lottarono e, il più delle volte, come nel caso che stiamo descrivendo, pagarono con la vita il prezzo della propria ribellione, venendo assassinati a soli trentasette anni da coloro che non accettavano che qualcuno potesse avere a cuore il proprio popolo assai più degli interessi delle multinazionali. 

Disse una volta: “Non è possibile effettuare un cambiamento fondamentale senza una certa dose di follia. In questo caso si tratta di non conformità: il coraggio di voltare le spalle alle vecchie formule, il coraggio di inventare il futuro. Ci sono voluti i pazzi di ieri per permetterci di agire con estrema chiarezza oggi. Voglio essere uno di quei pazzi. Dobbiamo avere il coraggio di inventare il futuro”. 

Trent’anni dopo abbiamo la certezza che il suo sacrificio, inscritto in quella magnifica e atroce profezia che è l’Africa profonda,  non può essere consegnato all’oblio.

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