Fondazione Carla Fendi. “Reality?”, la realtà aumentata di Gabriele Gianni a Spoleto

L’installazione al Battistero della Manna d’Oro a Spoleto. L’artista: “un flusso di coscienza che apre una finestra su un’altra dimensione”

SPOLETO – Arte, scienza, spiritualità, cultura digitale, incontro tra umano e virtuale, corpo e tecnologia, realtà e finzione, sono alcuni dei concetti e delle parole chiave per sintetizzare il progetto che Gabriele Gianni (Roma, 1978), regista e sceneggiatore, ha ideato per la Fondazione Carla Fendi, in occasione della 65esima edizione del Festival dei Due Mondi.

Il metaverso invade quel che un tempo è stato un luogo sacro
Reality? questo il titolo del progetto realizzato all’interno del Battistero della Manna D’Oro, che – spiega il regista – “nasce dalla volontà di sollecitare il visitatore a porsi la domanda su cosa sia effettivamente la realtà. Siamo sicuri, infatti, che non sia anch’essa un’illusione? L’opera non intende dare risposte, piuttosto porre questa domanda universale, utilizzando la tecnologia nella maniera più disturbante e straniante”.

Si tratta, dunque, di un lavoro sviluppato attraverso un’installazione immersiva e la restituzione di uno spazio avvolgente dove lasciarsi trasportare da suggestioni non solo ed esclusivamente visive. Un’opera che, partendo da uno spazio fisico, da una dimensione materiale, utilizzando la realtà aumentata, stimola diverse modalità percettive. Un lavoro che sonda la realtà esterna oggettiva per poi affondare nella dimensione interiore soggettiva, quella che apre lo spazio “virtualmente” infinito dell’inconscio e della coscienza.

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“Il luogo – racconta Gianni – è stato proposto dalla Fondazione. Si tratta di uno spazio che emana sacralità e stimola alla riflessione e all’introspezione. L’installazione è una realtà mista, in cui i visori diventano un filtro tra il visitatore e la realtà. L’idea è quella di indagare il tema della coscienza. All’interno della Manna il visitatore cammina tra le architetture, ma entra in contatto con strutture tridimensionali sospese, ovvero dei neuroni umani scansionati, milioni di volte più grandi della realtà. I neuroni sono, infatti, considerati il centro della coscienza”. “Lo spettatore/visitatore – precisa l’artista – può interagire con essi. E, se toccati, liberano messaggi sonori, ricordi, voci, pensieri”.

Il visitatore terminerà la sua esperienza “aumentata” con un gesto simbolico, ponendo cioè le mani sulla fonte battesimale posta al centro della chiesa ottagonale. A quel punto la realtà della Manna d’Oro muterà inghiottita da un buio virtuale.

C’è quindi un livello di interazione spaziale, un gioco di compenetrazioni che scompagina in qualche modo le coordinate spazio temporali, somigliando a un flusso di coscienza che apre una finestra su un’altra dimensione, mettendo in discussione l’idea del “dove ci si trova”. Uno spiazzamento che diventa occasione per interrogarsi e anche per “resettare” le consuete abitudini di percezione.

Un lavoro ambizioso, visionario, un’opera altamente tecnologica, enigmaticamente evocativa, ma al tempo stesso poetica e suggestiva. Una ricerca, quella di Gianni, al confine tra arte e tecnologia, tra passato e futuro, che forse lascia anche ipotizzare come le tecnologie potrebbero ri-modellare il nostro inconscio in un futuro molto prossimo. “Mi piacerebbe – afferma l’artista – che la tecnologia virtuale non fosse solo gaming, ma anche un mezzo per esplorare una dimensione più filosofica e introspettiva”.

Una collaborazione consolidata con la Fondazione
Quello di Gabriele Gianni con la Fondazione Carla Fendi è un rapporto ormai consolidato nel tempo. La prima collaborazione risale, infatti, al 2018 quando il regista realizza un documentario dal titolo A Sense of Wonder, dedicato al ricercatore inglese Stephen Hawking (1942 -2018), morto poco prima della fine della realizzazione del cortometraggio. Un documentario che – come spiega il regista – “si è trasformato in un omaggio allo scienziato”. “Un film – specifica ancora – che ha comportato non solo la raccolta di materiale documentaristico, pensieri, stralci di conferenze, ma anche un vero e proprio lavoro di animazione”.

Successivamente, sempre per la Fondazione, Gianni realizza Ecce Robot, un documentario questa volta interamente dedicato all’intelligenza artificiale e alla robotica. Dunque, sempre in linea con l’impegno della Fondazione di sollecitare un dialogo serrato tra arte, scienza e tecnologia. Ecce Robot è ispirato “ad alcune teorie molto interessanti del filosofo svedese Nick Bostrom sulla simulazione della realtà”. Tuttavia evidenzia Gianni, quel lavoro è stato anche l’occasione per avvicinarsi a un tema di natura più “umanistica” ed esistenziale, ovvero quello della coscienza. “Un concetto sul quale un po’ tutti siamo portati a riflettere e a porci delle domande”, ripreso infatti anche in Reality?.

Lo scorso anno, in occasione della 64esima edizione del Festival dei Due Mondi, il regista, dopo la pausa Covid, si è cimentato con ben due documentari: Notes on Stone e About Sol, dedicati rispettivamente alla scultrice Anna Mahler e a Sol Lewitt. Due lavori che, seppur documentaristici, consentono allo spettatore di immergersi nel flusso di coscienza dei due artisti protagonisti.

Regista/sceneggiatore o artista/artigiano del linguaggio
Nell’insieme, la ricerca portata avanti da Gianni è quindi piuttosto complessa. Si articola, infatti, facendo leva anche su quella dicotomia tra dimensione materiale ed esigenze più introspettive in grado di elevare lo spirito al di sopra di essa.

Nel suo lavoro, come lui stesso spiega, confluiscono diversi riferimenti culturali e linguaggi, in primis quello cinematografico. “Ho una grande passione per David Linch, ma anche per Cronenberg. Per quanto riguarda l’arte, il documentario realizzato su Sol Lewitt ha consentito di avvicinarmi a un artista, oltre che di una grandissima umiltà, anche di infinita capacità di ricerca e di misticismo. Altro regista/artista di riferimento è poi sicuramente Steve McQueen. Per me – puntualizza – non c’è una grande distinzione tra il cinema di ricerca documentaristico o di finzione, non sono dei territori così distanti”.

“Il mio lavoro – aggiunge Gianni – ha una forma molto particolare, a volte mi sento un po’ un artigiano del linguaggio. Posso realizzare documentari classici (proprio ora ne ho terminato uno sul concetto di tempo), ma cimentarmi anche nell’animazione, nella decostruzione dell’immagine, che è poi parte della mia formazione. Il mio desiderio – conclude – è comunque sempre quello di raggiungere e proporre un’immersività nel racconto, da realizzare attraverso la virtualizzazione di uno spazio, oppure attraverso un medium più collaudato, come quello del documentario o del cinema di finzione in generale”.

Nel futuro di Gabriele Gianni, infine, ci sono diversi progetti in cantiere. “Sto scrivendo un film di finzione con uno sceneggiatore che si chiama Marco Saura e lavorando su un documentario sulla storia australiana, dal titolo ‘Sand Roads’, con un altro regista che si chiama Lorenzo Conte, che dovrebbe andare presto in produzione, nonostante ci siano stati rallentamenti. Spero poi di continuare ancora a sperimentare sul tema core della Fondazione Carla Fendi, ovvero arte e scienza”.

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