Milan (e l’Italia) fuori dalla Champions. Le partite non si vincono con la storia

ROMA – Erano in tanti a sperare nell’ennesimo miracolo italiano, ma i miracoli, perché si avverino, vanno in un certo senso “costruiti”, “aiutati” e non attesi, stando comodi e sdraiati, sperando solo nella provvidenza divina, pardon, calcistica.

E’ il caso del Milan, nel quale, fino a poco prima della partita di ritorno con l’Atletico, dopo la sconfitta di s. Siro, da  parte di Galliani, Seedorf e via cantando, ci si appellava alla storia, alla propria storia, fatta di trionfi e di trofei, ma anche di inutili  e infantili statistiche che, ormai, neppure più al più classico bar dello sport nessuno più si permette di citare . 

 

Insomma, il Milan, avrebbe dovuto conquistare la qualificazione, attraverso l’orgoglio derivante dal proprio glorioso passato risalente a quando, degli attuali calciatori,  alcuni non erano ancora nati, quando Sacchi era in panchina (1987) e non in poltrona a commentare con la stessa saggezza di allora il calcio di oggi, contornato da gente con i  nomi di Galli (Giovanni il portiere e Filippo il difensore), Tassotti, Baresi, Costacurta, Maldini, Evani, Ancelotti  (sì,  proprio lui, il Carletto madrileno), Donadoni, Massaro, Virdis e il trio delle meraviglie Gullit, Rijkaard, Van Basten.                                 Senza menzionare il Milan degli anni 2000  di Carlo Ancelotti, altrettanto grande , questo di Sacchi è stato  il Milan che è entrato nella storia, (quella a cui oggi spudoratamente ci appella, in mancanza di altro…)  non tanto per i trofei vinti e non solo per il gioco, rivoluzionario per l’epoca, ma quanto per la particolare cura riservata alla gestione dei  giocatori  prima negli spogliatoi e solo dopo in campo,  imprortata, ferreamente,  da un allora anonimo Arrigo Sacchi (scoperta di Berlusconi, riconosciamolo): sacrificio e disciplina, in campo e fuori e guai a chi sgarrava,  l’esatto contrario di oggi. 

 

Il Milan è uscito dalla Champions, come, per certi versi, era scontato che fosse, come era uscito dal campionato ad appena un mese dal suo inizio, come era uscito dalla Coppa Italia successivamente, come si era subito allontanato dalle zone europee di classifica, e come, soprattutto, era miseramente uscito dal novero delle grandi, già da qualche anno, quando aveva pensato bene che un Bonera potesse sostituire Thiago Silva o un Nesta potesse essere dimenticato grazie alle (disgraziate) partite di Zapata o Mexes; oppure ancora, pia illusione, sostituire Ibrahimovic con un Balotelli, più da giornali rosa che da terreni di gioco, eterna vittima di sé stesso.

 

Silvio Berlusconi rimarrà nella storia del Milan come il presidente che ha vinto più di tutti,  e a lui va l’indiscusso merito d’aver generato una società presa dalle ceneri. Questo è il passato ma, da qualche anno in qua, a lui vanno riconosciuti i demeriti più discussi per aver progressivamente sfasciato prima una società e poi una squadra portandola al disastroso finale di Madrid.                                    

 

Quali le colpe di Berlusconi ? Una, soprattutto: non aver capito, per tempo,  che il tempo, inesorabilmente, passa per tutti, anche per lui, purtroppo, checché se ne dica, figuriamoci per il Milan. La squadra ed anche la società, andava rinnovata gradualmente senza far arrivare alla soglia dei 40 anni gente ormai spompata, demotivata e continuata a pagare con fior di milioni per, poi, dare il benservito a tutti i senatori.  Come è pensabile che il Milan, la società calcistica con il maggior fatturato in Italia continui a chiudere, per anni,  i bilanci in perdita solo perché è quella che paga più stipendi di tutti ?  Quelli minimi sono di poco sotto al milione e i massimi superano i 4: forse è questo il motivo per il quale tutti vengono volentieri al Milan e, poi, nessuno se ne vuole più andare.  Neppure nel più paesano consesso di sportivi alla buona,  si pensa di poter competere in campionato italiano o in campo europeo con i prestiti o con gli arrivi a costo zero di giocatori liberati gioiosamente dalle altre squadre.  Come è pensabile costruire una squadra attorno ad un  Balotelli, ceduto, senza rimpianti,   dall’Inter  prima e dal City poi, con gran sospiro di sollievo, senza essere mai stato titolare se non nel Lumezzane in serie C1 ?  Per il Milan, invece,  l’attacco è lui e solo lui e la squadra è al suo servizio;  ma Balotelli, di suo, in casa rossonera, almeno finora, ha lasciato solo polemiche, squalifiche, antipatie, vessazioni, vittimismi, fatti personali di cronaca nera e rosa con le immancabili colpe sempre dei…giornalisti.  Lasciato in campo a far l’attaccante da solo,  aiutato fuori da tanti pseudo amici a crescere e maturare ma, finora, in entrambi i settori i risultati sono stati deludenti.  E questo sarebbe il fiore all’occhiello del Milan ?

 

E pensare che anche l’Italia di Prandelli ripone le sue speranze mondiali nel Super Mario…. Parliamo di Balotelli, il più costoso acquisto degli ultimi anni, quello che Berlusconi aveva prima definito “non da Milan” e, poi, accolto, come il salvatore della patria a scapito di un El Shaarawy che, fino al suo arrivo, aveva tenuto in piedi il Milan (16 gol) e, poi, sempre più emarginato in quanto ritenuto incompatibile  con lui ma, ora, dopo l’infortunio, sono tutti lì a  bramare  il suo rientro. 

 

Il Milan oltre a non essere più una squadra come ha affermato Sacchi (e se l’ha detto lui…), è una società con troppi equivoci, alla base dei quali c’è la caduta in verticale: Barbara Berlusconi e Galliani sono antitetici e, quindi, incompatibili;  il Milan ha, soprattutto,  bisogno di immissioni di capitali freschi per fare gli investimenti indispensabili se si  vuole ritornare a competere fra i grandi del calcio. La famiglia Berlusconi decida: se non vuole agire in questo senso, provveda alla cessione totale della società, senza continuare a giustificare  gli insuccessi con motivazioni tecniche  perché in campo finora si è continuato a mandare gli scarti di altre squadre, trovando in Allegri il colpevole ma, dopo sette partite, anche con Seedorf (voluto fortemente da Silvio) la musica è rimasta la stessa.  

Ora prepariamoci, nei prossimi giorni, a sentir parlare di epurazioni, di rifondazione, di partite da vincere tutte per puntare all’Europa League (fino a ieri disprezzata…), di un Berlusconi deluso e affranto ecc. ecc.  

 

Il Milan è all’epilogo: Berlusconi o lascia o raddoppia, non ci sono alternative al categorico imperativo bongiorniano perché il tempo stringe. Basta vivere di ricordi propinandoli ad ogni piè sospinto ai tifosi, delusi ma, ormai,  non più ingenui e, soprattutto stufi di tante chiacchiere vane.    La lezione di Madrid è stata una soltanto: sono i giocatori a fare la storia, buona o cattiva che sia,  ma non è la storia  che fa  vincere le partite.   

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