Europei 2016. Cari ragazzi, complimenti e grazie

Complimenti e grazie agli Azzurri di Antonio Conte: per ciò che hanno fatto e anche per ciò che non soni riusciti a fare ma per cui si sono battuti con orgoglio fino alla fine.

Complimenti per averci messo cuore, anima e idee, battendo avversari di tutto rispetto come il Belgio e la Spagna, ossia due delle formazioni più attese della vigilia, a loro volta eliminate da noi e dal sorprendente Galles di Gareth Bale. Complimenti ad Antonio Conte: non certo un mostro di simpatia ma comunque uno dei migliori allenatori presenti nel panorama mondiale, capace di capitalizzare al meglio lo scarso talento messogli a disposizione da un calcio italiano in cui l’unica squadra che ancora preserva e valorizza i campioni “madre in Italy” è la Juventus mentre le altre squadre preferiscono, ormai da anni, affidarsi, in gran parte, a talenti stranieri, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. 

Non è sbocciata una generazione di fenomeni: non avevamo i Gattuso, i Pirlo, i Del Piero, i Totti e i Cannavaro; l’unico reparto di valore mondiale era la difesa, composta dai quattro elementi della diga juventina, in alcuni casi avviati alla conclusione della carriera.

Tuttavia, la grandezza di Conte è stata proprio questa sua abilità nel mescolare al meglio gli elementi a disposizione e nel presentare una squadra che per posizionamento tattico, tenuta atletica e, a sprazzi, classe e tecnica non ha avuto nulla da invidiare né ai fuoriclasse belgi né alle Furie rosse di Vicente Del Bosque, non più irresistibili come quattro anni fa ma comunque in grado di presentare ancora un undici di tutto rispetto. 

Aveva a disposizione un materiale umano per il quale anche noi non avevamo pronosticato certo mirabilie ed è riuscito a stupirci, vincendo il girone e approdando ai quarti contro un avversario nettamente più forte, cui comunque abbiamo tenuto testa con ammirevole dignità per centoventi minuti.

Ha forgiato degli uomini, prima ancora che dei calciatori, e questo è molto importante in vista dei prossimi appuntamenti, in quanto da questo gruppo si può ripartire, magari ringiovanendolo un po’ in alcuni reparti e confidando in qualche apporto tecnico che oggettivamente è mancato a questa nazionale.

Dieci anni dopo la gioia di Berlino, siamo qui a fare i conti con una Nazionale tutt’altro che spettacolare ma quanto meno dotata dello stesso carattere che consentì agli uomini di Lippi di scalare la vetta del mondo, agevolata dal tremendo scandalo che sconvolse il calcio italiano, pungendo nel vivo alcuni dei suoi campioni più amati e rappresentativi. 

Se Conte avesse avuto a disposizione la stessa squadra, probabilmente, avremmo vinto già nei tempi regolamentari, anche perché non c’è dubbio che il tecnico salentino abbia in sé i cromosomi del miglior lippismo, a cominciare dalla grinta, dalla determinazione e dalla capacita di leggere la partita dal primo all’ultimo minuto nonché di anticipare le mosse degli avversari; con uomini come Marchisio e Verratti che non hanno potuto nemmeno prendere parte alla spedizione, con Candreva e De Rossi infortunati e con una squadra rimaneggiata e priva di tutti gli elementi di maggior talento, Conte è riuscito a costringere ai rigori uno squadrone composto da alcuni dei perni di quel Bayern Monaco che nel marzo scorso ha eliminato la Juve agli ottavi di Champions con un rotondo 4 a 2.

Nessuna recriminazione, dunque; al contrario, la certezza, amara ma comunque confortante, che contro qualunque altra squadra presente ai quarti, giocando così, ci saremmo qualificati. Con la Germania no perché questo, probabilmente, è il momento loro, la fase storica in cui stanno raccogliendo i frutti della semina cominciata in seguito al tracollo di Euro 2000, quando i “panzer” uscirono a testa bassa con un solo punto, rimediando una delle peggiori figure della propria storia. 

D’ora in poi, il cuore ci dice Islanda, la speranza ci dice Francia o Portogallo, la testa ci dice Germania, con l’auspicio che, in caso di vittoria, questa nazionale multietnica e straordinariamente assortita da Joachim Löw non si dimentichi di rendere omaggio al grande Helmut Schön, scomparso vent’anni fa. In quel catino messicano in cui andò in scena la partita del secolo, infatti, a guidare la Germania Ovest c’era lui, l’allenatore di Dresda, nato a Est e finito ad allenare l’Ovest per le note vicende storiche. Merita un cenno di ringraziamento, lui che condusse un gruppo di ragazzi nati in un Paese sconfitto e allo sbando totale ad un passo dalla gloria, salvo doversi arrendere a quel caparbio figlio della sfortuna e della sofferenza interiore che rispondeva al nome di Gigi Riva.

Infine, scorrendo la formazione della Germania attuale, l’attenzione cade sempre su quel nome ingombrante: Müller, forse messo lì per ricordarci che di Gerd ce n’è stato uno solo. Ora il campione di quarantasei anni fa, di fatto, non ce più: ha l’alzheimer e non sappiamo se stasera abbia seguito la partita e ci abbia capito qualcosa. Di sicuro, però, da sportivo autentico qual era e quale sarà sempre, sarà contento anche lui, in quanto certe emozioni sono più forti di tutto, capaci di abbattere il muro di qualunque malattia.

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