Coppa d’Africa: una meraviglia che profuma d’Europa

È cominciata sabato la trentunesima edizione della Coppa d’Africa (nel sessantesimo anniversario della prima), ospitata quest’anno dal Gabon, con finale il prossimo 5 febbraio nella capitale Libreville. 

Un torneo avvincente e ricco di stelle, assai meno inferiore di un tempo rispetto alle competizioni europee e sudamericane, a dimostrazione di quanto la globalizzazione e il vasto fenomeno migratorio abbiano senz’altro degli aspetti positivi, innanzitutto nello sport ma anche nella società stessa, ormai multietnica e, dunque, bisognosa di un processo d’integrazione degno di questo nome.

Non è questa la sede per occuparci delle pericolose spinte regressive (le famigerate “utopie regressive” di cui parlava Bauman) che stanno invadendo e impoverendo il Vecchio Continente: ce ne occuperemo a tempo debito e ne analizzeremo contorni e conseguenze, specie per quanto concerne le potenze coloniali di un tempo, oggi sottoposte all’incubo del terrorismo e costrette a fare i conti con la barbarie di un jihadismo islamico che affonda le proprie radici proprio nell’abiezione dei lunghi anni di dominio imperialista, oltre che nelle pericolose e ingiustificabili predicazioni di morte di alcuni imam e di alcuni diffusori sistematici di violenza ed odio. 

Tuttavia, ribadisco: non è questa la sede adatta per parlarne, pertanto spazio al calcio. Non c’è dubbio che la crescita del movimento calcistico africano sia una delle novità più eloquenti del Ventunesimo secolo, al punto che su di esso aveva puntato l’ex presidente della FIFA, Blatter, per consolidare il proprio dominio e che su di esso sembra voler puntare anche il suo successore, Infantino, con il discutibile allargamento dei Mondiali a quarantotto squadre a partire dal 2026, creando di fatto un mostro che potrebbe anche rivelarsi controproducente, trattandosi di una vera e propria orgia di partite, alcune delle quali prive di senso e, quindi, più soggette di altre ad eventuali combine e a magheggi d’ogni sorta. Fatto sta che il Continente nero è uscito dal letargo e dal confine coloniale nel quale lo avevano rinchiuso ormai da quasi trent’anni, da quando cioè il Camerun di N’kono e Milla arrivò ai quarti di Italia ’90, sorprendendo tutti con la vittoria all’esordio contro la formidabile Argentina campione uscente di Maradona e Caniggia; senza dimenticare lo splendido Mondiale nippo-coreano del Senegal, capace di battere all’esordio la Francia campione in carica, prendendosi la più nobile delle rivalse etiche sui colonizzatori di un tempo, e di arrivare, a sua volta, ai quarti, superato dalla Turchia dopo aver dato l’anima e dopo aver sfoggiato una compagine di tutto rispetto dalla quale molti club europei furono ben felici di attingere per rinforzarsi. E che dire della Nigeria campione olimpica nel ’96 o della Costa d’Avorio dei Drogba e dei Touré? Un calcio in ascesa e ormai profumato d’Europa, quello che si ritrova quest’anno in Gabon per dar vita al proprio carnevale sportivo, tanto avversato dalle ricchissime società europee per via dei campioni di cui le priva per circa un mese quanto seguito con particolare interesse dalle medesime, ben coscienti del fatto che nelle sedici compagini che si sfideranno in Coppa d’Africa possono scovare risorse preziose a basso costo, in linea con quanto già avvenuto negli anni precedenti. 

I Mahrez, i Salah, gli Slimani, i Koulibaly, i Kessie, i Lemina, gli Ayew, gli Aubameyang, i Keita, i Benatia e i molti altri fuoriclasse per cui ci spelliamo le mani nei nostri campionati altro non sono, infatti, che i figli migliori, atleticamente parlando, di questa terra generosa e tuttora saccheggiata, alla quale, tuttavia, molti di loro, pur avendo provato l’ebbrezza di indossare le maglie di nazionali ben più quotate, stanno decidendo di tornare, in una sorta di “negritude” pallonara che tanto avrebbe inorgoglito Senghor e che, di sicuro, arricchirà non poco la competizione calcistica nel suo insieme, visto che prima o poi, diciamo più prima che poi, la Coppa del Mondo non sarà più una questione esclusivamente europea e sudamericana, specie se si considerano gli investimenti monstre che stanno compiendo in Oriente e la generazione di fenomeni che sta emergendo nella terra dei grandi laghi, dei deserti sconfinati e delle bellezze naturalistiche che generano in chiunque le visiti quel mal d’Africa che ti resta addosso come una seconda pelle, come una passione aspra e inaccessibile e, proprio per questo, ancora più desiderata. 

Il Gabon, l’Algeria, la Tunisia, il Senegal, la Costa d’Avorio del nuovo corso, il redivivo Egitto, il solido Ghana e il mai domo Camerun hanno tutti buone possibilità di battersi fino alla fine per la conquista del trofeo, senza dimenticare le possibili sorprese, che non mancano mai, e senza perdere di vista i numerosi talenti che, di sicuro, approfitteranno della kermesse per mettersi in mostra, dando il massimo nella speranza di riuscire ad approdare al calcio che conta, con annessi stipendi faraonici. 

Una competizione da seguire, per passione e in prospettiva: per romanticismo e per pragmatismo, per scoprire nuove culture e vedersi schiudere nuovi orizzonti e anche per sognare ad occhi aperti qualche acquisto della propria squadra del cuore, infine per apprezzare una battaglia agonistica leggermente meno sofisticata rispetto alla nostra, meno complessa soprattutto sul piano tattico, ma proprio per questo più pura, più autentica, più ingenua e in grado di farci riscoprire quei sogni e quelle speranze da oratorio che nel nostro pallone imbottito di milioni, di sponsor e di pressioni d’ogni genere, purtroppo, non si vedono più da tempo, con grave nocumento per l’essenza stessa dello sport e dei suoi valori.

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