Camerun: nel segno di N’Kono e Milla

Incredibilmente, il povero Héctor Cúper è riuscito nell’impresa di perdere l’ennesima finale della sua lunga e sfortunata carriera.

E così, dopo la sconfitta in Coppa delle Coppe alla guida del Maiorca, dopo la sconfitta in Champions League alla guida del Valencia, dopo il tragico 5 maggio del 2002 che costò lo scudetto all’Inter e dopo un’altra serie di figuracce rimediate in giro per il mondo, ecco che il tecnico argentino è riuscito a perdere anche la Coppa d’Africa, alla guida di un Egitto più forte e competitivo che mai e chiamato a vedersela nell’atto conclusivo del torneo con un Camerun tanto dignitoso e volonteroso quanto rimaneggiato e imbottito di ragazzi pressoché sconosciuti al pubblico europeo, visto che i titolari hanno per lo più preferito restare nel Vecchio Continente a fare gli interessi di chi passa loro lauti stipendi. 

È successo, dunque, che due soggetti ignoti ai più, N’Koulou e Aboubakar, abbiano ribaltato una partita che Elneny aveva indirizzato su binari favorevoli alla compagine allenata da Cuper. 

È successo che i Leoni indomabili abbiano dato l’anima e, pur non avendo più al proprio arco frecce come il portiere N’Kono o attaccanti del calibro di Roger Milla e Samuel Eto’o, nonostante tutte le avversità possibili e immaginabili, i ragazzi di Hugo Broos abbiano vinto.

È successo, in pratica, che un collettivo forgiato dal sacro fuoco del desiderio di affermarsi, con un gruppo che si è via via fortificato e un allenatore in grado di fornirgli le adeguate motivazioni, sia risultato più efficace ed incisivo di una nazionale senz’altro superiore per tasso tecnico e qualità dei singoli alfieri ma meno squadra nel momento decisivo. 

E così, quest’affascinante kermesse africana, vetrina ideale per giovani talenti in cerca di un’occasione d’oro e per società non ricchissime a caccia di saldi vantaggiosi, non abbia affatto deluso le attese, mettendo in mostra un movimento sportivo ormai di tutto rispetto e in grado di non sfigurare al cospetto delle ben più note e fastose competizioni europea e sudamericana. 

Venti giorni di gol ed emozioni, venti giorni di passione e sentimento, venti giorni all’insegna di un calcio puro, ingenuo e immacolato, come purtroppo non è e forse non sarà mai più alle nostre latitudini, essendo venuto meno da tempo il motore di quell’autenticità e di quella gioia di giocare e di vivere che caratterizza, invece, il movimento calcistico africano e popoli che vedono in quella semplice sfera rotolante una straordinaria opportunità di riscatto. 

Venti giorni e una battaglia vinta, una sfida con se stessi affrontata a testa alta, uno schiaffo forte e doveroso a guerre, stragi e altre mattanze che, ahinoi, continuano a insanguinare quel continente magnifico e dannato. 

Tre settimane, una nazionale pressoché sperimentale che solleva la coppa e si gode la propria meritata felicità e l’insolita e piacevole sensazione che abbiano davvero vinto tutti, a cominciare dal Gabon, che ha organizzato la competizione, e da tutti coloro che non si sono rassegnati alle innumerevoli difficoltà che la martoriata Africa pone ogni volta di fronte. 

Ha vinto lo sport, ha vinto la sua limpida e genuina bellezza e ogni bambino che prenderà a calci un pallone fatto di stracci lungo le strade sterrate di uno sperduto villaggio africano d’ora in poi avrà tutto il diritto di sentirsi un piccolo eroe, come spesso capita ai sognatori umili, indomiti ed indomabili, così simili a quei Leoni camerunensi che d’ora in poi nessuno avrà più il diritto di ignorare.

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