Atalanta, Liverpool e Real: la meraviglia e l’unicità dello sport

Nell’anno in cui, fra i tanti anniversari sportivi, si celebrano anche quelli di Kubala ed Hidegkuti, alfieri dell’Ungheria magnifica e incompiuta a cavallo fra gli anni Quaranta e Cinquanta, abbiamo scelto tre simboli che meritano: per storia, prestigio e prospettive per il futuro. Parliamo dell’Atalanta, che compie centodieci anni, del Liverpool, che ne compie centoventicinque, e del Real, che ne compie centoquindici.  

L’Atalanta, la magnifica dea bergamasca che quest’anno ha vissuto la stagione più esaltante del suo lungo cammino in Serie A; l’Atalanta del presidente Percassi, i cui tifosi sono talmente appassionati che a Bergamo  non si dice “Andiamo allo stadio” ma “Andiamo all’Atalanta”; l’Atalanta che ha lanciato talenti del calibro di Scirea, Cabrini e Donadoni; l’Atalanta dei giovani e dei miracoli, con uno dei vivai più floridi d’Italia e d’Europa; l’Atalanta che si appresta a disputare l’Europa League e, probabilmente, potrà contare anche il prossimo anno su due baby-campioni come Caldara e Spinazzola (promessi sposi juventini ma lasciati saggiamente maturare nel proficuo ambiente orobico). Omaggio a questo gioiello made in Italy, a chi lo ha costruito e assemblato con cura, passo dopo passo, a chi vi ha investito con buonsenso e a chi, in senso positivo, lo saccheggerà, regalandosi dei fuoriclasse destinati a scrivere pagine importanti della storia del calcio per i prossimi quindici anni. 

Quanto al Liverpool, non ha bisogno di presentazioni. Bastano il suo inno, “You ‘ll never walk alone”, il suo stadio, il mitico Anfield Road, la sua bacheca e la sua leggenda per descrivere una delle società più antiche e nobili del patrimonio calcistico mondiale. E poi Liverpool è la città dei Beatles, la città del socialismo operaio, la città delle battaglie per i diritti dei lavoratori e della lotta strenua contro lo scempio sociale thatcheriano. È anche la squadra che vide protagonisti i famigerati hooligans nell’Inferno dell’Heysel, certo, ma non bisogna dimenticare nemmeno il martirio patito da novantasei tifosi dei Reds quattro anni dopo a Sheffield. 

Una squadra unica nel contesto inglese, capace di sfidare le corazzate londinesi e di Manchester e di non smarrire mai, nemmeno all’apice della gloria, la sua identità socialista e proletaria. Infine il Real, l’esatto opposto dei Reds. Il miglior club del Ventesimo secolo, il club più titolato di Spagna e d’Europa, lo squadrone franchista, simbolo della dittatura del Generalissimo, che, tuttavia, è stato in grado di affrancarsi, almeno in parte, da quella pesante eredità, scindendo l’aspetto sportivo da quello prettamente politico ed ospitando tra le sue fila anche un personaggio dichiaratamente di sinistra come Jorge Valdano.

Una storia controversa, quella del Real: da emblema della dittatura di Franco a grande squadra del nuovo potere, imprenditoriale e finanziario, capace tuttavia di meritarsi sul campo i titoli che affollano la sua smisurata bacheca e di conquistare, a Cardiff, la terza Champions in quattro stagioni.   Quest’anno, infine, ricorre il quindicesimo anniversario della scomparsa del “colonnello” Valerij Vasyl’ovyč Lobanovs’kyj, icona della Dinamo Kiev e dell’importanza attribuita allo sport dai sovietici, e i centocinque anni di quel mito cartaceo che è il Guerin Sportivo.  Senza di loro, né il Novecento né il secolo che è iniziato da tre lustri sarebbero stati gli stessi, a dimostrazione di quanto il calcio non sia solo una componente essenziale della società ma, in alcuni casi, la società stessa.

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