L’Italia del calcio specchio del paese

È inutile prendersela con il povero Ventura e con i suoi ragazzi, massacrati per 3 a 0 dalle furie spagnole che hanno letteralmente egemonizzato la serata di ieri al Bernabéu, in quanto non sarà certo lo scaricabarile a farci uscire dalle secche nelle quali ci siamo incagliati ormai da anni.  L’Italia del calcio è lo specchio fedele di un paese in guerra con se stesso: diviso, dilaniato da mille polemiche inutili, stremato dall’incertezza e dalla rabbia e, purtroppo, quasi per nulla competitivo in ambito internazionale. Nel campo sportivo non va meglio.

Basti pensare al disastro rimediato di recente ai Mondiali di atletica, basti pensare al 4 a 1 subito dalla Juve a Cardiff contro il Real Madrid, basti pensare alle difficoltà che stiamo incontrando persino in sport che un tempo ci vedevano protagonisti come la Formula 1 e il motociclismo. E basti pensare al divario complessivo, acuitosi ulteriormente negli ultimi anni, che c’è fra la Serie A e la Liga, con la Juve unica compagine in grado di competere quasi alla pari con le corazzate iberiche e Real e Barcellona a spartirsi le ultime quattro edizioni della Champions League. 

Non a caso, buona parte del telaio sia dell’Under 21 che della Nazionale maggiore spagnola è composto da fuoriclasse provenienti da queste due squadre: gente abituata a vincere e a competere ai massimi livelli fin da quando, alle nostre latitudini, al massimo si discute di un prestito per mandare il ragazzo a farsi le ossa in provincia, come se fosse vero che giocare in realtà oggettivamente inferiori aiuti a crescere di più che imparare stando a contatto con i massimi campioni a livello mondiale.

Se a ciò aggiungiamo, poi, che in Spagna è ben radicata la tradizione delle squadre B mentre da noi il campionato primavera e il Torneo di Viareggio finiscono per lo più nel dimenticatoio, ecco spiegato perché, ad esempio, l’Inter continui a lanciarsi sul mercato per acquistare giocatori tutt’altro che trascendentali mentre la sua giovanile conquista con pieno merito lo scudetto di categoria. 

Spiace dirlo, ma un campioncino in erba come Isco non è diventato il mostro che è attualmente andando in prestito in una realtà minore bensì cercando di ritagliarsi un po’ di spazio in uno dei centrocampi più forti che ci siano, accanto a soggetti come Kroos, Casemiro, Modrić e dovendosi contendere il posto con un certo Gareth Bale. E lo stesso dicasi per Alvaro Morata, capace di segnare venti gol la scorsa stagione pur dovendosela vedere con la concorrenza in attacco di fuoriclasse come Benzema e Cristiano Ronaldo. 

È da questi particolari che si nota, dunque, la nostra inadeguatezza: ci manca il coraggio di credere nei giovani, ci manca il gusto di valorizzarli, stimolarli a dovere e abituarli anche ad una sana competizione che nulla a che spartire con la lotta all’ultimo sangue, a suon di reciproche scorrettezze, teorizzata da alcuni ciarlatani. 

Spiace dirlo, ribadisco, ma i giocatori scelti da Ventura provenivano, in alcuni casi, da realtà sane quanto si vuole ma non in grado di competere con le armate internazionali, e questo, specie su un palcoscenico come il Bernabéu, al cospetto di personaggi come Iniesta e De Gea, lo si paga a caro prezzo. 

Senza contare, infine, che in Spagna, in Germania e in altre nazioni serie e virtuose lo sport, e il calcio in particolare, è considerato un elemento culturale imprescindibile, in grado di far crescere il PIL e di stimolare le risorse migliori di cui può disporre un paese. Da noi, al contrario, il Ministero dello Sport conta poco o nulla: talvolta neanche c’è o quando pure c’è, si tende a mandarvi una figura di secondo piano o una personalità scomoda che si è costretti a inserire nel governo ma che non si vuole avere in un dicastero considerato di prestigio. E i risultati si vedono: al Bernabéu, alle Olimpiadi e un po’ dappertutto, mentre gli altri con lo sport si arricchiscono, favoriscono il processo di integrazione, combattono le malattie connesse all’obesità e si divertono pure.

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